Il califfo Abu Bakr al Baghdadi (foto LaPresse)

Baghdadi dice che un attentato in occidente vale mille attacchi in Iraq

Daniele Raineri

Il leader dello Stato islamico è furioso con i suoi che si vogliono arrendere

Roma. Nell’ultimo mese abbiamo imparato cose nuove a proposito di Abu Bakr al Baghdadi, il capo dello Stato islamico che ha battuto ogni record di longevità anche se è braccato da tutti i governi del medio oriente e non solo. I suoi due predecessori erano durati tre e sei anni prima di essere uccisi dagli americani, lui è arrivato all’ottavo anno di attività al vertice anche se ormai le sue chance di eludere la caccia sono sempre più sottili. Mercoledì sera ha fatto circolare su internet un discorso, il dodicesimo, in occasione della festa musulmana di Eid al Adha. Dura quasi un’ora e insiste su un concetto pilastro della cosiddetta guerra santa: se le cose vanno bene è Dio che ci premia, se le cose vanno male è Dio che ci sta mettendo alla prova, in ogni caso è obbligatorio continuare a fare massacri.

 

Il centro di tutta l’ideologia è sempre quello: massacrare chi si oppone allo Stato islamico, anche quando il gruppo è in svantaggio. Verso la fine del discorso Al Baghdadi dice ai seguaci che ogni attentato in occidente – in Canada, in America e in Europa – vale come mille attacchi compiuti in medio oriente ed esorta a uccidere in massa e in ogni modo, per esempio con il metodo prediletto del veicolo scagliato contro la folla.

 

E’ la prima volta che Al Baghdadi in persona si occupa di pronunciare questo tipo di direttive, di solito se ne occupavano i suoi portavoce, ora queste sue istruzioni potrebbero portare a una riaccelerazione degli attentati da parte dei supporter sparsi un po’ ovunque – anche se c’è da dire che l’attenzione è molto meno spasmodica di un tempo, quando i suoi messaggi erano annunciati con quasi un giorno in anticipo e creavano un senso di attesa fortissimo nelle comunità fanatiche che allignano sui social media. Ieri mattina a Trappes, vicino Parigi, un uomo che era già noto alle forze di sicurezza per il suo estremismo ha assassinato la madre e la sorella a coltellate prima di essere ucciso a sua volta. Lo Stato islamico ha rivendicato l’attacco nel giro di poche ore.

  

Il Wall Street Journal è riuscito a sapere cosa dice dal suo carcere di Baghdad un capo dello Stato islamico catturato a febbraio in Turchia – grazie a una sofisticata operazione d’intelligence degli iracheni e della Cia americana. L’uomo racconta di avere incontrato Al Baghdadi assieme ad altri leader per l’ultima volta a maggio 2017, vicino Mayadin, che è una piccola cittadina siriana nel deserto a sud di Deir Ezzor. Già questa informazione è interessante: a quel tempo Mayadin era la scena di un tiro al bersaglio da parte dei piloti d’aereo americani, che grazie alle informazioni passate dall’intelligence davano la caccia e uccidevano con bombardamenti mirati gli uomini più pericolosi dello Stato islamico – almeno quattordici tra aprile e agosto. Il 6 aprile una squadra di commando americani atterrò addirittura su una strada alle tre del pomeriggio per tentare di catturare un capo molto importante (Al Uzbeki, ma come spesso succede fu ucciso nello scontro a fuoco).

 

Il 31 maggio gli americani riuscirono a localizzare e uccidere un predicatore, Turki al Binali, che era anche lui all’incontro con Al Baghdadi. Ebbene, in quelle settimane Al Baghdadi sedeva nel mezzo del mattatoio e ancora una volta la sua scorta – che ne pianifica gli spostamenti – lo ha portato via illeso. Durante l’incontro Al Baghdadi fu costretto a decidere una questione lacerante per lo Stato islamico, che mette i volontari stranieri contro i volontari locali: è meglio deporre le armi e provare a mescolarsi tra la gente per ricominciare la guerra in seguito – come vogliono i combattenti locali – oppure è meglio bruciare in una grande fiammata suicida, come sostengono i foreign fighters che sanno che non riusciranno mai a mimetizzarsi in mezzo agli arabi? Al Baghdadi ha scelto la grande fiammata e fa arrestare con l’accusa di disfattismo i capi che sostengono l’altra linea.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)