La giravolta di Trump. Così il presidente americano cambia versione sulla Russia
Dopo le proteste per le sue affermazioni sulle interferenze del Cremlino, The Donald sostiene di essersi espresso male a Helsinki
"Mi sono solo espresso male". Donald Trump prova a rimediare così a quanto detto durante la conferenza stampa con Vladimir Putin a Helsinki, durante la quale ha più volte difeso il presidente russo attaccando invece l'Fbi che ha indagato sulle ormai accertate ingerenze russe nelle elezioni del 2016. Come abbiamo scritto su queste colonne, il presidente americano ha così "legittimato il modo russo di raccontare quello che succede nel mondo". Non importa se poi Trump "cerca di rimangiarsi quello che ha detto al cospetto del presidente russo e di cambiare il senso delle parole che ha pronunciato, come se qualcuno gli avesse spiegato le conseguenze delle sue dichiarazioni".
"In una frase chiave del mio discorso ho detto 'dovrebbe' invece di 'non dovrebbe'", ha dichiarato Trump. Insomma, l'affermazione dello scandalo "non vedo nessun motivo per cui dovrebbe essere stata la Russia" riferita alle ingerenze nelle elezioni, è stato solo un lapsus. Quello che Trump avrebbe voluto dire realmente era "non vedo nessun motivo per cui NON dovrebbe essere stata la Russia". E poi ancora, si corregge: "Ho piena fiducia e pieno sostegno nelle agenzie di Intelligence americane, li ho sempre avuti". Un tentativo di uscire dal vespaio di polemiche piovute anche dall'interno del suo partito, tanto che il senatore repubblicano John McCain ha descritto quel discorso come "il punto più basso mai raggiunto da un presidente statunitense".


bruxelles
L'Ue propone di reintrodurre i dazi a Israele, ma von der Leyen sa che non c'è la maggioranza
“Non vogliamo punire Israele o i cittadini israeliani, ma fare pressione sul governo israeliano affinché cambi strada a Gaza”, ha detto l’Alto rappresentante, Kaja Kallas. Eppure la proposta della presidente della Commissione di sospendere la parte commerciale dell’accordo Ue-Israele appare come un atto simbolico di opportunismo politico. Che rischia di essere insabbiato a causa del veto di uno o più governi
