Alan Dershowitz

La grazia di Trump a D'Souza alimenta la campagna contro il double standard

Alan Dershowitz contro la “giustizia selettiva” dei liberal

New York. Conversando con il Foglio, Alan Dershowitz, il grande giurista di Harvard che presta il suo consiglio a Donald Trump e dà consulenze ad Harvey Weinstein, lo dice e non lo dice, lo fa intuire e lo vela, che è stato proprio lui a suggerire al presidente di concedere la grazia all’opinionista conservatore Dinesh D’Souza. E magari di concederla con questo tempismo politicamente calcolato: giusto il giorno dopo il licenziamento di un’icona popolare del trumpismo, l’attrice Roseanne Barr, per un tweet razzista, che ha ingenerato una controcampagna conservatrice per smascherare il doppiopesismo della sinistra: se un insulto razzista vale un licenziamento, perché nessuno degli anchorman che continuamente attacca Trump, con insulti di paragonabile intensità, viene cacciato? Ecco allora che il caso di D’Souza torna d’improvviso attuale e meritevole di decisione impulsiva, sancita da tweet: “Oggi concederò piena grazia presidenziale a Dinesh D’Souza. E’ stato trattato in modo molto ingiusto dallo stato!”.

 

Il columnist e documentarista di origini indiane è stato condannato nel 2014 per aver fatto finanziamenti elettorali irregolari per la campagna da senatrice di Wendy Long, una storia di 20 mila dollari che l’imputato, dichiarandosi in parte colpevole, ha attribuito al goffo favore fatto ad un amico, fungendo da prestanome. Non ha agito, ha detto D’Souza, in “con intento corrotto o criminale”, si è trattato al massimo di un “malaccorto gesto di amicizia”. Dershowitz dice che “diverse persone hanno portato il caso all’attenzione del presidente”, contraddicendo quello che ha detto Trump parlando con i cronisti sull’Air Force One: “Nessuno mi ha suggerito di farlo”. Il presidente ha anche detto che non conosceva personalmente il regista, con il quale ha parlato per la prima volta per dargli il lieto annuncio, ma di certo era al corrente dell’operato dell’intellettuale almeno da quando ha consigliato ai suoi elettori di vedere il documentario Hillary’s America: The Secret History of the Democratic Party . Qualunque sia la genesi del gesto, Dershowitz concorda in pieno sul merito: “D’Souza è stato vittima di un’inchiesta selettiva aperta per ragioni squisitamente politiche. Non credo che il suo fosse un comportamento essenzialmente criminale. Sono felice della decisione di Trump: è esattamente per questi casi che il presidente dovrebbe usare il suo potere di graziare”.

 

D’Souza, pensatore incendiario che elogia il colonialismo che “ha alleviato la povertà dal terzo mondo” e attribuisce la colpa degli abusi nella prigione irachena di Abu Grahib alla “cultura sessuale immodesta e liberale” che domina in America, si è trasformato ieri in un’icona, un martire resuscitato delle schiere trumpiane, che in questo frangente sono impegnate a ristabilire la linea narrativa degli intellettuali conservatori vessati dalla dolce dittatura liberal. La scelta di concedere la grazia a D’Souza offre uno scampolo della logica politico-comunicativa con cui il presidente usa questo strumento. E’ una specie di asso pigliatutto che Trump cala quando la mano è troppo complicata, e l’intento politico si vede quasi sempre. Il soldato della marina Kristian Saucer è stato graziato dalla sua sentenza di un anno di carcere perché era in possesso di immagini non autorizzate di un sottomarino, ma il suo caso durante la campagna è diventato il simbolo dell’ingiustizia di un sistema che s’accanisce sui deboli mentre risparmia Hillary; lo sceriffo anti immigrazione Joe Arpaio è stato “trattato ingiustamente” e lo stesso è capitato a Scooter Libby, il capo di gabinetto di Dick Cheney che peraltro era stato indagato da Pat Fitzgerald, procuratore amico di Jim Comey e che nella testa di Trump è una specie di sintesi di tutte le storture del sistema giudiziario. Sull’aereo, Trump ha detto anche che sta pensando alla grazia anche per Rod Blagojevich, ex governatore democratico dell’Illinois, e per Martha Stewart, condannata per insider trading dopo un’inchiesta guidata da Comey. Non è per motivi strettamente politici che il presidente pensa a loro: più semplicemente, entrambi sono stati ospiti di The Apprentice, entrando così nella famiglia allargata del reality trumpiano.