Kim Jong-un (foto LaPresse)

Chi altri, se non Kim Jong-un, è arrivato in segreto a Pechino?

Giulia Pompili

E’ la prima visita di stato del leader nordcoreano all’estero. Perché adesso può trattare Xi con sufficienza

Roma. La notizia del leader nordcoreano Kim Jong-un in visita a sorpresa a Pechino ha iniziato a circolare ieri, quando l’agenzia di stampa giapponese Kyodo ha pubblicato il primo video di un treno nordcoreano in arrivo nella capitale cinese – un treno verde con una striscia gialla nel mezzo, molto simile a quello usato nei viaggi precedenti dall’allora leader Kim Jong-il in visita in Cina. Altre fonti dalla capitale cinese hanno poi confermato un incremento delle misure di sicurezza, soprattutto nella stazione di Dandong, la prima città cinese oltre il confine nordcoreano, nell’area dell’ambasciata nordcoreana a Pechino e nella zona della Diaoyutai State Guesthouse, il luogo dove risiedono i dignitari in visita di stato in Cina e dove anche il precedente leader nordcoreano ha alloggiato. Alcuni video circolati online – la cui l’autenticità non è stata ancora confermata, anche se uno in particolare è stato pubblicato da Jie Gong, direttore del China Internet Information Center – mostravano una lunga colonna di auto blindate e pulmini scortata dalle Forze dell’ordine, lasciando supporre una visita di altissimo rango dalla Corea del nord. Le immagini sono esattamente identiche a quelle del 2010, ovvero l’ultima visita di stato di un leader nordcoreano a Pechino, ed è facile immaginare che, esattamente come allora con Kim Jong-il, né la Cina né la Corea del nord confermeranno formalmente alcun incontro, non prima della conclusione del viaggio. Se davvero questa fosse la prima prima visita in Cina del leader nordcoreano Kim Jong-un, sarebbe anche il suo primo viaggio all’estero da leader: ufficialmente, sin da quando ha preso il potere nel dicembre del 2011, Kim non è mai uscito dai confini del paese. In serata, quando ormai in Cina era passata la mezzanotte, a confermare la presenza di Kim Jong-un a Pechino sono state anche tre fonti anonime alla Reuters.

  

La visita a sorpresa di Kim Jong-un a Pechino – oppure di qualcuno a lui molto vicino, per esempio la sorella Kim Yo-jong, che il 9 febbraio scorso ha raggiunto Pyeongchang, in Corea del sud, per la cerimonia d’apertura dei Giochi olimpici – è una notizia enorme sul fronte della questione nordcoreana e degli sviluppi degli ultimi due mesi. Enorme alla luce dei due incontri storici che ci saranno prossimamente, cioè il summit intercoreano tra Kim Jong-un e il presidente sudcoreano Moon Jae-in a fine aprile a Panmunjeom, nella Zona demilitarizzata lungo il 38° parallelo, e quello ancora tutto da definire di fine maggio con il presidente americano Donald Trump. Ma la visita di Kim a Pechino è importante soprattutto perché i rapporti tra Corea del nord e Cina negli ultimi sette anni non sono stati sempre cordiali. Il presidente cinese Xi Jinping ha mostrato una certa insofferenza nei confronti del giovane leader nordcoreano (l’ex ambasciatore americano in Cina, Max Baucus, ha detto di non aver mai sentito Xi esprimersi “così poco diplomaticamente” come quando parla di Kim), soprattutto dopo che nel dicembre del 2013 ha fatto arrestare ed eliminare Chang Sung-taek, marito della zia di Kim Jong-un e uomo di fiducia di Pechino dentro al Palazzo del potere di Pyongyang. Così per la prima volta nel 2017 la Cina ha iniziato ad appoggiare le iniziative del Consiglio di sicurezza dell’Onu contro la Corea del nord, la cui economia dipende per larga parte dagli aiuti e dal commercio con Pechino. E’ anche per questo, secondo alcuni analisti, che nel discorso di Capodanno il leader Kim Jong-un ha voluto iniziare un nuovo percorso di riavvicinamento e dialogo, iniziando da Seul, dove il nuovo governo di Moon stava cercando in tutti i modi uno spiraglio per l’appeasement. Poi è arrivato Donald Trump, e la sua accettazione a sorpresa di un invito a un summit bilaterale con Kim, e in seguito anche il primo ministro Shinzo Abe, che ha detto di voler “esplorare” l’opzione di un incontro. Come ha scritto su Twitter Mintaro Oba, ex advisor del Dipartimento di stato americano per le questioni coreane, in pratica Kim Jong-un si trova a Pechino da una posizione di forza: “Ha all’orizzonte vari summit, con la Corea del sud, con gli Stati Uniti, forse con il Giappone. Invece di andare in Cina come capo di uno stato assoggettato, Kim adesso può dire di avere delle alternative”.

 

La Cina ha sempre sostenuto la via del dialogo con la Corea del nord, contrariamente alla strategia di pressione e isolamento di America e Giappone. Dopo l’incontro tra Moon e la sorella di Kim, però, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha ripetuto tra le righe la posizione di Pechino sul dialogo diretto tra Stati Uniti e Corea del nord: la Cina non crede che a Washington ci sia una reale volontà di risolvere la questione “nucleare”, perché rappresenterebbe l’inutilità della presenza statunitense nel Pacifico. Sin dalla sua elezione, Trump aveva inizialmente praticato la via della responsabilizzazione di Pechino nel risolvere le mire nucleari di Kim. Poi però qualcosa si è rotto tra i due leader, e lo dimostrano i dazi anticinesi annunciati da Trump giovedì scorso che più che dazi sembrano sanzioni. Se Trump avesse incontrato Kim prima ancora di un vertice con Xi, sarebbe stato un enorme danno strategico e d’immagine per la Cina, che ha come obiettivo la leadership dell’intera regione, non solo della penisola coreana.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.