Martin Selmayr (foto LaPresse)

La Selmayr connection

David Carretta

Nella bolla bruxellese è in corso uno scontro che potrebbe avere gravi ripercussioni sulla Commissione. Inchiesta sui nomi, le carriere e le parole del clan del Segretario generale

Strasburgo. Il clan Selmayr ha iniziato a muoversi per cercare di soffocare il SelmayrGate, lo scandalo scoppiato con la nomina a sorpresa dell’ex capogabinetto di Jean-Claude Juncker, Martin Selmayr, a segretario generale della Commissione che mette a rischio lo stesso esecutivo comunitario. Il clan Selmayr è quel ristretto gruppo di funzionari ed eletti che dal 2014 esercita enorme influenza dentro la Commissione e dentro l’Europarlamento: una cerchia dominata da personalità legate al Partito popolare europeo, ma in cui si ritrovano anche importanti esponenti della famiglia dei Socialisti. Il Foglio ha cercato di ricostruirne le ramificazioni, intervistando diversi funzionari ed eurodeputati, gran parte dei quali ha chiesto di mantenere l’anonimato, a dimostrazione di quanto il clan Selmayr sia temuto a Bruxelles e Strasburgo.

 

Alcuni deputati europei hanno definito la nomina di Selmayr “un colpo di stato” orchestrato all’interno del suo clan 

Il clan è governato da un patto di interessi politici e lealtà personali ed esercita la sua influenza grazie a nomine e promozioni, provvedimenti legislativi e orientamenti politici della Commissione e dei gruppi all’Europarlamento, fughe di notizie a vantaggio di giornalisti amici e intimidazioni nei confronti di quelli considerati critici. Le sue origini vanno ricercate nell’accordo del 2014 per eleggere come presidente della Commissione lo Spitzenkandidaten (capolista, ndr) del partito europeo che avrebbe vinto le elezioni quell’anno e che ha portato a una diarchia: Jean-Claude Juncker alla testa dell’esecutivo comunitario e Martin Schulz a capo dell’Europarlamento. Molti esponenti del clan sono tedeschi, ma ci sono anche lussemburghesi, greci, bulgari, britannici e polacchi. Si dicono tutti europeisti, sono quasi tutti molto competenti e preparati, ma conta il potere. In questo contesto, il clan ha sottovalutato la ribellione provocata dalla nomina di Selmayr il 21 febbraio e ora reagisce per evitare che la sua sopravvivenza sia messa in pericolo.

 

Il dibattito di lunedì scorso all’Europarlamento ha gettato un po' di luce sulle ramificazioni del clan Selmayr all’Europarlamento. Martin Schulz, l’ex presidente dell’aula di Strasburgo, caduto in disgrazia con la sua avventura politica nazionale alla guida dell’Spd in Germania, è stato tra i primi a muoversi per proteggere la coppia di vecchi amici Juncker e Selmayr. A intervenire a nome del gruppo socialista nel dibattito della plenaria è stato Arndt Kohn, deputato europeo di secondo piano dell’Spd, subentrato allo stesso Schulz dopo le sue dimissioni. “Non mi devo pronunciare sulla personalità o sulle qualità professionali di Selmayr. Il signor (Guenther) Oettinger (il commissario responsabile dell’Amministrazione) si è appena espresso sulle sue qualifiche e in che misura le regole sono state rispettate per designarlo”, ha spiegato Kohn all’inizio del suo intervento. La soluzione di Kohn? Presentare un emendamento per fare in modo che nelle “future designazioni il candidato più adatto sia selezionato nella procedura più trasparente possibile”, ha detto. Il subentrante di Schulz si è felicitato della “futura buona cooperazione” con Oettinger su questo punto. “Schulz ha inviato un suo burattino a difendere Selmayr”, ha spiegato al Foglio un funzionario del gruppo dei socialisti.

 

Intelligenti e con la bandiera europeista: quello di Selmayr è un sistema di potere che si fonda sulla lealtà al segretario generale

Il caso Selmayr, tra le altre cose, rischia di mettere in discussione il sistema di potere che Schulz ha plasmato dentro l’Aula di Strasburgo durante i suoi cinque anni da presidente. Il vicesegretario generale del Parlamento europeo, Maarkus Winkler, sta a Schulz come Selmayr sta a Juncker. Basta dare un’occhiata al curriculum per vedere che la sua nomina ai vertici dell’amministrazione dell’Europarlamento deve molto al suo mentore. Winkler è stato assistente parlamentare di Schulz dal 1996 al 2003, capogabinetto dello stesso Schulz alla testa del gruppo socialista poi come presidente dell’Europarlamento. Appena prima della fine del primo mandato di Schulz, nell’aprile 2014, a un mese dalle elezioni, è stato promosso direttore generale dell’istituzione, salvo tornare a guidare il gabinetto nel luglio dello stesso anno dopo la rielezione del tedesco. A novembre 2016, appena prima che Schulz annunciasse la sua decisione di tornare in Germania, Winkler è stato nominato vice-segretario generale del Parlamento europeo. Dopo il surriscaldato dibattito in plenaria di lunedì, martedì mattina Winkler e Selmayr si sono abbracciati in aula a Strasburgo, in occasione di un intervento di Juncker sulla Brexit.

 

Un ruolo chiave per soffocare il SelmayrGate è stato affidato alle connessioni del clan Selmayr dentro il gruppo del Partito popolare europeo all’Europarlamento. La tedesca Ingeborg Grässle della Cdu è la presidente della potente commissione Controllo di bilancio (Cocobu), cui è stato affidato il compito di condurre un’indagine sulla nomina di Selmayr. Il 27 febbraio, dopo le prime rivelazioni di Libération sulle possibilità che le procedure non siano state rispettate, un funzionario vicino a Selmayr si era detto fiducioso che la Grässle avrebbe “calmato gli ardori” dei deputati Verdi che chiedevano un’inchiesta formale della Cocubu. Lunedì, sorpresa dalle dure critiche degli altri deputati, compresi i suoi colleghi del Ppe, la Grässle ha iniziato così il suo intervento in plenaria: “Miei cari colleghi, non sapevo fossimo così in tanti a volerci tuffare negli arcani dello statuto dei funzionari”. Poi ha criticato la decisione di tenere un dibattito in plenaria prima della discussione nella commissione Cocobu. “Ho preso nota che il commissario ci ha detto che le regole sono state rispettate” nella nomina di Selmayr, ha poi spiegato la Grässle senza contestare la versione fornita da Oettinger. Interpellato dal Foglio su contatti con Schulz, Kohn, Winkler e Ingeborg Grässle a proposito del caso Selmayr, un portavoce della Commissione ha risposto così: “Il Segretario generale, il gabinetto del Presidente e altri alti funzionari della Commissione sono – come deve essere – in costante contatto con i responsabili in altre istituzioni. Naturalmente questi contatti tra la Commissione e rappresentanti del Parlamento europeo sono particolarmente intensi durante le settimane di Strasburgo”.

 

Dentro il Ppe, Selmayr può beneficiare di protettori. La sua carriera brussellese era iniziata come assistente del potente Elmar Brok, più volte presidente della commissione Affari esteri e rappresentante dell’Europarlamento nelle convenzioni che hanno modificato i Trattati o il Patto di stabilità e crescita. La lussemburghese Viviane Reding, di cui Selmayr era stato portavoce e capogabinetto alla Commissione, è stata il suo grande sponsor al momento della candidatura Juncker come presidente dell’esecutivo comunitario. Ma anche il capogruppo del Ppe, Manfred Weber, è chiamato a giocare un ruolo chiave per sgonfiare il SelmayrGate, e in particolare evitare il rischio che Juncker si ritrovi nello stesso scenario che portò nel 1999 alle dimissioni della Commissione presieduta da un altro lussemburghese, Jacques Santer: un caso di nepotismo e cattiva gestione che porta alla caduta di tutto l’esecutivo comunitario, perché a pochi mesi dalle elezioni europee l’Europarlamento aveva deciso di mostrare i muscoli e non mollare. Di fronte alle divisioni interne al suo gruppo, Weber lunedì non ha partecipato al dibattito sulla nomina di Selmayr. Ma nelle riunioni successive, il presidente del Ppe, che appartiene alla Csu bavarese, si è attivato per spiegare che “non spetta all’Europarlamento immischiarsi nelle nomine interne alla Commissione” e nessuno può “contestare le qualità di Selmayr”, spiega al Foglio un funzionario dei popolari. Il segretario generale del Parlamento europeo, Klaus Welle, è un tedesco della Cdu-Csu, la cui nomina (precedente all’emergere del clan Selmayr) era avvenuta dopo una carriera nel Ppe e un passaggio come capogabinetto di un presidente, Hans-Gert Pöttering, tra il 2007 e il 2009.

 

Un ruolo chiave per soffocare il SelmayrGate è stato affidato alle connessioni del clan dentro il gruppo del Ppe all’Europarlamento

Weber è indirettamente connesso al clan Selmayr grazie al suo capogabinetto, la spagnola Mercedes Alvargonzález, moglie di Margaritis Schinas, il portavoce della Commissione europea. Funzionario della Commissione greco, esponente di Nea Dimokratia, Schinas era stato deputato europeo tra il 2007 e il 2009 prima di tornare nell’amministrazione dell’esecutivo comunitario, ma senza mai allontanarsi dal Ppe. Il servizio dei portavoce della Commissione è uno strumento essenziale del clan Selmayr. Da capogabinetto di Juncker, ma anche dopo essere diventato Segretario generale, Selmayr segue quasi quotidianamente in diretta il “midday”, la conferenza stampa di mezzogiorno con i giornalisti. La sua non è solo affezione dovuta al suo ruolo passato di portavoce dell’ex commissaria Viviane Reding. “Selmayr prepara le linee difensive per i portavoce e manda messaggi in diretta per rispondere ai giornalisti”, spiega un quarto funzionario comunitario. Il servizio dei portavoce funziona a cerchi. Oltre a Schinas, in quello più stretto c’è la bulgara Mina Andreeva che, come altri del clan, ha fatto una carriera lampo. Nel 2007 era semplice tirocinante di Selmayr. Nel 2014 si è trovata con uno dei gradi massimi dell’amministrazione comunitaria grazie alla nomina a viceportavoce capo. Natasha Bertaud, che con Selmayr era stata uno dei pilastri della campagna elettorale di Juncker nel 2014, è un’altra portavoce della cerchia più stretta. Anche lei ha fatto un balzo di carriera considerevole: tirocinio nel 2010, portavoce coordinatore nel 2015. Uno dei primi atti della Commissione Juncker, adottato il 1° novembre del 2014, il primo giorno del mandato, riguarda le regole relative alla composizione dei gabinetti dei commissari e del servizio dei portavoce. Il portavoce capo Schinas ha il grado AD15 (16 mila euro minimo di salario, a cui si aggiungono diverse indennità), la vice Andreeva AD13 (12.500 euro minimo), la coordinatrice Bertaud AD11 (10 mila euro minimo). Con lo stesso atto del 1° novembre 2014, Selmayr è passato dalla funzione di semplice direttore a quella di Direttore generale.

 

Il “colpo di stato” di Selmayr per accaparrarsi il posto di Segretario generale – è una definizione di diversi deputati europei – non sarebbe stato possibile senza la complicità di altri membri legati al clan dentro la Commissione. A cominciare dalla greca Irene Souka, a capo della Direzione generale delle risorse umane, che ha supervisionato la nomina di Selmayr. Sulla base della decisione del 21 febbraio scorso che ha riguardato Selmayr ma anche altri alti funzionari, la Commissione ha autorizzato la permanenza di Souka e del marito Dominique Ristori, capo della Direzione generale per l’Energia, oltre quella che dovrebbe essere la normale età pensionabile. Altri direttori generali fuori dal clan sono stati molto meno fortunati. Jos Delbeke (a capo della direzione generale Azione per il clima), Michel Servoz (Occupazione) e Robert-Jan Smits (Ricerca) sono stati inviati come consiglieri “Hors Classe” nel think tank interno della Commissione, una specie di parcheggio per alti funzionari caduti in disgrazia. Secondo un’altra fonte, Smits avrebbe saputo della sua destituzione soltanto il 21 febbraio, mentre si aspettava un trasferimento più tardi nel corso dell’anno. Chi ha visto un’accelerazione della sua promozione, invece, è stata la greca Paraskevi Michou, che il 31 gennaio è stata promossa da vicesegretario generale della Commissione a Direttore generale per le Migrazioni e gli Affari interni. Lasciando libero il posto, Michou ha aperto le porte alla promozione di Selmayr del 21 febbraio prima a vicesegretario generale e poi, pochi minuti dopo, a Segretario generale. Il portavoce della Commissione, Alexander Winterstein, ha negato al Foglio che le due nomine siano in alcun modo collegate.

 

Il servizio dei portavoce della Commissione – che è un sistema fatto a cerchi – è uno strumento essenziale del clan del segretario

Le fondamenta del clan Selmayr sono saldamente dentro la Commissione, dove il nuovo Segretario generale ha costruito gran parte della carriera sulla base del principio della fedeltà. La Michou ne è un esempio tipico. Nel gennaio 2011 era stata promossa a direttore per la Giustizia civile nella direzione generale Giustizia e consumatori, che era sotto la responsabilità della coppia Reding-Selmayr. Per un anno è poi stata direttore generale ad interim, prima di un’altra promozione verso un posto strategico decisa il 1° novembre 2015 sotto la supervisione di Selmayr: vicesegretario generale. Quasi tutti gli ex collaboratori di Selmayr si trovano in posti strategici. Clara Martinez Alberola è la funzionaria spagnola che ha preso il posto di Selmayr come capogabinetto. Secondo Libération, il suo ruolo sarebbe stato centrale per permettere la regolarità della nomina di Selmayr a vicesegretario generale e segretario generale. La procedura è valida solo se ci sono due candidati: Martinez Alberola avrebbe presentato la candidatura contro Selmayr salvo poi ritirarsi. Tra gli ex membri del gabinetto Reding diretto da Selmayr, Richard Szostak è diventato vicecapo gabinetto di Juncker, mentre Telmo Baltazar è membro del gabinetto. Adrienn Kiraly è capogabinetto del commissario ungherese Tibor Navracsics, nella cui squadra c’è anche Christine Mai. Nonostante lo spoil-system a inizio mandato, Selmayr ha cooptato anche ex rivali che appartenevano alla cerchia ristretta di Barroso. Nella prima ondata di nomine nel 2015 ha portato l’ex capogabinetto del portoghese, Johannes Leitenberger, alla testa della direzione generale Concorrenza senza consultare preventivamente la commissaria Margrethe Vestager. Nell’ondata del 21 febbraio, l’ex portavoce di Barroso Pia Ahrenkilde-Hansen è stata nominata vice-segretario generale ad interim, mentre l’ex capo della comunicazione Koen Doens è stato promosso vicedirettore generale per la Cooperazione internazionale.

 

Dove Selmayr beneficia di minor sostegno è tra i governi, con importanti eccezioni come in Germania, dove ha coltivato un ottimo rapporto con l’ex capogabinetto di Angela Merkel (diventato ministro dello Sviluppo economico) Peter Altmaier, o in Spagna, dove il governo di Mariano Rajoy conta sulla squadra Juncker per mantenere la linea dura sulla Catalogna. Con l’Italia è stato amore e odio. Con Matteo Renzi ci fu un epico scontro a causa di una chiacchierata off con alcuni giornalisti in cui l’Alto funzionario non citabile ma rintracciabile se la prese con l’allora presidente del Consiglio e le sue critiche all’Ue. La pace fu firmata da Carlo Calenda dopo un vertice del G20 in Giappone. Un diplomatico italiano spiega di ammirare Selmayr perché “europeista convinto, decisamente preparato e scrupoloso, cosciente della necessità di salvaguardare il ruolo della Commissione” e in grado di “tenere testa” agli sherpa dei governi. Ma questo ha anche provocato duri scontri tra Selmayr e la squadra del presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk. Inoltre, Selmayr e il suo clan danno l’impressione di essersi impossessati della Commissione. “Le istituzioni europee non appartengono agli alti funzionari, appartengono ai cittadini europei. I primi sono lì per servire i secondi e non per servirsi da soli”, ha detto la deputata francese del Ppe, Françoise Grossetête, lunedì. Ben oltre la correttezza della procedura, è questa la questione che l’Europarlamento deve decidere se affrontare. Il portavoce della Commissione ha detto al Foglio che, anche dopo il dibattito di lunedì, Juncker continua ad avere fiducia nel fatto che Selmayr sia la scelta giusta come Segretario Generale: “Sì, ce l’ha”.