Hope Hicks (Foto LaPresse)

L'America delle guerre di potere

Paola Peduzzi

Segreti, bugie bianche e le dimissioni di Hope Hicks. Un'istantanea di Casa Trump

Milano. Decifrare gli umori della Casa Bianca è un mestiere quotidiano, faticoso ma anche divertente, soprattutto quando si riesce a dimenticare che, tra pettegolezzi e retroscena, stiamo comunque parlando del paese più potente del mondo. Il via vai dell’universo trumpiano è talmente frenetico che viene il fiatone a starci dietro, ma queste sono le ultime notizie a disposizione per capire in che direzione si muovono – o galleggiano – i rapporti di potere nell’entourage di Donald Trump.

 

Le bugie bianche

Hope Hicks, capo della comunicazione della Casa Bianca, in quota Ivanka, si è dimessa. È una delle collaboratrici più strette di Trump e una delle più longeve, nonostante abbia 29 anni. Le sue dimissioni sono state una sorpresa - rivelata dal New York Times - perché solitamente le defenestrazioni arrivano alla fine di un logoramento via stampa: questa volta no. La Hicks è stata interrogata due giorni fa per otto ore dalla commissione Intelligence del Congresso che indaga sull’ingerenza russa nella campagna elettorale e nella presidenza Trump. Non ha risposto ad alcuna domanda riguardo a quel che è avvenuto alla Casa Bianca: secondo gli accordi presi, può discutere soltanto su quel che è accaduto durante la campagna elettorale del 2016. Ma anche sul suo coinvolgimento nel famigerato incontro alla Trump Tower con emissari russi che dicevano di aver a disposizione materiale compromettente contro Hillary Clinton, la Hope non ha fornito ulteriori dettagli. Ha però detto che le è capitato di dire “bugie bianche”, cioè innocue, al presidente, ma mai su questioni sostanziali. Piccole menzogne per arrivare a fine giornata e non urtare un capo che, come si sa, è suscettibile. Ma mai su quel che conta, assicura la Hope. L’espressione “bugie bianche” è subito stata affiancata a un’altra già celebre: “Fatti alternativi”: una zona grigia di confusione, in cui la Hope è sempre sopravvissuta bene, con il sostegno di Trump, fino a ora che ha deciso di cercare “altre opportunità”.

 

 

Le idee come armi

Il prossimo che dovrà testimoniare è Steve Bannon, ex guru trumpiano ed ex direttore di Breitbart, caduto in disgrazia presso i suoi sostenitori più generosi, la famiglia Mercer, dopo le dichiarazioni rilasciate a Michael Wolff nel libro bestseller “Fast and Fury”. Ci sono molte preoccupazioni per questo colloquio, ma Bannon ha già messo paletti precisi a quello di cui ha intenzione di discutere. Intanto si occupa d’altro, di sé. In un’intervista con GQ, ha detto che per la primavera o massimo l’estate lancerà “un gruppo di idee”, che si dedicherà a “promuovere idee, a rendere le idee delle armi, a costruire e unire gruppi affiliati” che hanno lo stesso progetto. Continuerà a fare l’ideologo, insomma, chissà a che distanza da Trump.

 

Dimmelo tu, un segreto

Il genero in chief, Jared Kushner, non avrà più accesso completo ai documenti classificati della Casa Bianca, il suo nulla osta è stato ridimensionato. A deciderlo è stato il chief of staff, John Kelly, a cui Trump ha delegato la scelta: “Sono certo che farà bene”, ha detto venerdì il presidente. Molti sottolineano che, da quando è arrivato Kelly a mettere ordine, il genero ha visto ridursi la sua influenza. Ma ci sono altri due elementi da considerare: il primo è lo scandalo che ha riguardato Rob Porter, che lavorava nello staff presidenziale ed è fidanzato con la Hicks, e si è dimesso dopo che le due sue ex mogli lo hanno accusato di violenza domestica. Con lui, e con il pasticcio comunicativo fatto sia da Kelly sia dalla Hicks, si è iniziato a parlare di quella “security clearance”, l’accesso ai documenti classificati, che Porter non aveva ottenuto, creando domande su tutto lo staff. In più il Washington Post ha raccontato che una delle ragioni del nulla osta negato a Kushner ha a che fare con i suoi tanti contatti all’estero: secondo una fonte anonima, diplomatici di Cina, Israele, Emirati arabi e Messico avrebbero cercato di manipolare il genero approfittando del suo conflitto di interessi e della sua “inesperienza” in politica estera.

  

 

La battaglia con i generali

Il potere di Kelly forse è sovrastimato. Secondo un racconto di Reuters, il chief of staff e l’altro ex generale che lavora per Trump, H.R. McMaster, consigliere per la Sicurezza nazionale, sarebbero in scontro aperto con il presidente. Non sopportano il trattamento sprezzante che Trump riserva loro in privato e si sono messi di traverso su due questioni rilevanti: le “security clearances” e la gestione dell’ingerenza russa nella campagna elettorale e negli uomini e affari del presidente. Il capo dell’Nsa, Mike Rogers, ha testimoniato al Congresso dicendo che non gli è stato chiesta alcuna verifica o cambiamento in relazione alle possibili interferenze russe: l’esatto contrario di quel che vorrebbero Kelly e McMaster che si sono ritrovati più in linea con altri due pesi forti “in disgrazia”: i ministri Rex Tillerson e Jeff Sessions. A dimostrazione del fatto che le manovre di Kelly per contenere Kushner sono poco rilevanti, c’è la nomina a capo della campagna elettorale 2020 di Brad Parscale, fedelissimo del genero di Trump.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi