Velo e boicottaggio di Israele: così l'Arabia Saudita si è data scacco matto
Un torneo internazionale a Riad sta scatenando più di una polemica geopolitica. Un evento sportivo non basta per rinnovare con successo l’immagine tormentata di una nazione
“Il gioco degli scacchi è lo sport più violento che esista” ha detto l’ex campione mondiale Garri Kasparov. La scacchiera non è un universo limitato e innocuo: ne sa qualcosa Giovanni Leonardo Di Bona, detto il Puttino, scacchista italiano del Cinquecento che morì alla corte del principe di Bisignano, avvelenato per invidia. E il gioco al massacro fra i pezzi bianchi e neri ha spesso stimolato la fantasia dei narratori: è metafora della sfida con la morte, come nei fotogrammi del Settimo Sigillo di Ingmar Bergman o nelle pagine dell’Alfiere nero di Arrigo Boito. O ancora nella Variante di Lüneburg di Paolo Maurensig, dove il microcosmo delle 64 caselle diventa il campo di battaglia in cui il destino degli individui s’intreccia a quello della Storia con la maiuscola. Ma se il fascino accigliato degli scacchi persiste, negli ultimi quarant’anni è come scomparsa la sua presa sull’opinione pubblica. Non è più il 1972, insomma, quando Bobby Fischer e Boris Spassky conducevano la loro Guerra Fredda per procura a Reykjavik, in quello che fu chiamato “l’incontro del secolo” – Fischer stesso la descrisse come la battaglia del “mondo libero contro i russi bugiardi, bari ed ipocriti”. Eppure oggi i pezzi che si muovono sulla scacchiera stanno facendo di nuovo le veci di squadroni di carri pesanti e batterie di cannoni, in un torneo internazionale che sta scatenando più di una polemica geopolitica.
A diventare campione del mondo di scacchi ci vogliono anni di lavoro, giornate spese sulla tavola e ore di angoscia per ogni singola mossa. Ma ci vuole pochissimo a rimetterci la corona. “Tra pochi giorni ho intenzione di perdere due titoli di campione del mondo, uno per uno”, ha detto Anna Muzychuk. “Solo perché ho deciso di non andare in Arabia Saudita”. Muyzchuk, 27enne ucraina, è la campionessa del mondo in carica in due discipline di scacchi veloci: rapid e blitz. E a Riad oggi è iniziato il Rapid and Blitz Chess Championships, un torneo internazionale di scacchi. L’Arabia ha sedotto la Federazione mondiale degli scacchi (Fide) con un montepremi da due milioni di dollari – pari a quattro volte la tariffa annuale standard della Fide – e si è fatta concedere il diritto di ospitare la sfida, nel tentativo di migliorare la sua tormentata immagine internazionale.
Il primo scacco è arrivato però dalla campionessa ucraina, che non ha nessuna intenzione di indossare l’abaya, la sopravveste scura con la quale le donne saudite sono costrette a coprirsi da capo a piedi. E ha deciso di boicottare l’evento, anche se l'organizzazione ha fatto sapere che non sarà obbligata a indossare il velo: "Lo faccio per i miei principi", ha risposto Muzychuk. Non solo: ai sette giocatori israeliani sono stati negati i visti per entrare in Arabia Saudita. Secondo i funzionari sauditi i visti non possono essere concessi perché il regno non ha legami diplomatici con Israele. La Federazione israeliana di scacchi ha comunicato che chiederà un risarcimento finanziario e affermato che era stato loro fatto credere che i giocatori avrebbero potuto partecipare e ha accusato Riad di avere ingannato la Federazione mondiale degli scacchi affinché venisse selezionata per ospitare il torneo.
Il boicottaggio contro gli israeliani suona ancora più assurdo visto che i campioni del Qatar saranno invece accolti, benché i loro visti siano stati firmati all'ultimo minuto, e nonostante il fatto che pochi mesi fa il regno abbia tagliato tutti i legami economici, diplomatici e i trasporti verso lo stato del Golfo in un tentativo finora fallito di forzare l'allineamento della sua politica estera.
Related to the purported politicization of the International Chess Tournament hosted by Riyadh: the Kingdom has allowed the participation of all citizens.The exception is whereby KSA has historically not had diplomatic ties with a specific country-thus has maintained its policy.
— Fatimah S Baeshen (@FatimahSBaeshen) 25 dicembre 2017
In un messaggio su Twitter, Fatimah Baeshen, portavoce dell'Ambasciata saudita a Washington, ha risposto alla “presunta politicizzazione” dell'evento di scacchi, dicendo che i visti erano stati concessi a tutti i cittadini, a eccezione di quelli provenienti da paesi senza legami diplomatici con il regno. Lior Aizenberg, portavoce della Federazione israeliana di scacchi, ha affermato che la decisione di impedire agli israeliani di partecipare è invece del tutto politica. Prima del torneo di martedì, gli israeliani erano in contatto con la Federazione degli scacchi sauditi, che si sarebbe detta “estremamente positiva sul fatto che avremmo avuto i visti per partecipare”, ha spiegato Aizenberg.
Lo sforzo saudita per ospitare i mondiali della scacchiera arriva in un momento in cui il principe ereditario Mohammed bin Salman sta cercando di convincere i sudditi, gli alleati del regno e gli investitori stranieri che sta realmente diversificando e riformando l'economia e trasformando una nazione imbevuta di ultra-conservatorismo musulmano sunnita in uno stato del 21mo secolo. Il torneo di scacchi in Arabia Saudita mostra come un rapporto non governato tra sport e politica possa sollevare anche problemi fondamentali di governance. E suggerisce che ci vuole molto più di un evento sportivo per rinnovare con successo l’immagine offuscata di una nazione. Insomma, forse il torneo sarà uno "Scacco matto" per Riad: un’espressione che nasce da uno sdrucciolamento fonetico dell'originario iraniano: "Scià matt", il re è morto.
la sconfitta del dittatore