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L'ultima mossa di Macron

Piantare la bandiera europea in Assemblea alla faccia di Mélenchon

Francesco Maselli

Il presidente francese chiude la querelle sul vessillo dell'Ue che il leader di France Insoumise non voleva

Roma. “Perché siamo obbligati a sopportare quella bandiera?”. Così Jean-Luc Mélenchon, leader della France insoumise, inaugurava il suo mandato da parlamentare all’Assemblea nazionale indicando con disprezzo la bandiera dell’Unione europea, issata, come in tutti gli edifici pubblici, al fianco di quella nazionale. Una delle frasi sopra le righe del tribuno, si pensò all’epoca, e invece no, il gruppo parlamentare Insoumis ha preso sul serio la faccenda e il 3 ottobre ha presentato un emendamento al regolamento dell’Assemblea, poi rigettato in commissione, affinché questo prevedesse che “possono essere presenti nell’emiciclo soltanto il tricolore della Repubblica francese e la bandiera delle Nazioni Unite”. Sulla proposta fa luce Ugo Bernalicis, deputato del gruppo: “L’Unione ha ormai un’attitudine brutale, specialmente verso la Grecia. L’Onu ci sembra più vicino alla cooperazione efficace e rispettosa della sovranità dei paesi. In questo emiciclo votiamo le leggi della Repubblica, non altro”. Applausi dal Front national: “Hanno ragione, credo che voteremo per il loro emendamento”, ha subito detto il deputato Louis Aliot, compagno di Marine Le Pen.

  

D’altronde la sinistra-sinistra europeista non lo è mai stata, come dimostra la campagna elettorale del referendum per la Costituzione europea, che la Francia respinse nel 2005 con il 54,80 per cento dei “no”. In quell’occasione Jean-Luc Mélenchon, insieme alla gauche del Partito socialista (con Benoît Hamon, poi candidato Ps alle ultime presidenziali), fece campagna per il “no” e non ha mai cessato di avere una posizione apertamente euroscettica: “O l’Europa cambia i trattati o l’abbandoneremo”, arringava durante le presidenziali. Macron ha approfittato della polemica scatenata dagli Insoumis per annunciare martedì, durante un dibattito a Francoforte, che la Francia firmerà la dichiarazione n. 52 che prevede il riconoscimento ufficiale dei simboli dell’Unione, volutamente estromessa dal Trattato di Lisbona dopo il rifiuto francese e olandese del 2005. Gli stati favorevoli alla Costituzione decisero di firmare insieme questa dichiarazione simbolica in allegato al trattato. “Alcuni, in Francia, vorrebbero eliminare la bandiera europea, io invece firmerò la dichiarazione solenne durante il prossimo Consiglio europeo, in modo che la Francia raggiunga i sedici stati che l’hanno già fatto”, ha detto il presidente. Mélenchon ha risposto subito, ieri pomeriggio: “Macron non ha il diritto di imporre alla Francia un emblema europeo confessionale senza il voto del Parlamento. La Francia ha già votato contro la sua adozione senza ambiguità”. Perfettamente d’accordo, ancora una volta, il Front national: “E’ l’ultimo chiodo sulla tomba del ‘no’ del 2005”, ha twittato Marine Le Pen.

 

La verità è che Mélenchon utilizza l’Assemblea nazionale più come una vetrina che per fare opposizione parlamentare: con soltanto 19 deputati non ha i mezzi per contrastare l’enorme maggioranza En Marche!. E quindi via alle azioni dimostrative come la partecipazione ai lavori dell’aula senza cravatta per denunciare un formalismo “ipocrita”, o l’esposizione, durante un dibattito parlamentare, di una serie di prodotti tipo acquistati dagli universitari e che il taglio dei sussidi per 5 euro al mese proposto dal governo avrebbe impedito di comprare. Infine l’utilizzo di Manuel Valls come bersaglio per far parlare di sé: venerdì scorso, secondo il Canard Enchaîné, Mélenchon ha visto da lontano l’ex primo ministro nei corridoi dell’Assemblea e ha iniziato a urlargli contro: “Nazista, sei uno sporco, un poveraccio, una merda”. Dopodiché si è dimesso dalla missione parlamentare sul futuro istituzionale della Nuova Caledonia perché Valls, unico candidato alla carica, ne è stato nominato presidente. Nella lettera di dimissioni, ampiamente pubblicizzata sui social, il leader degli Insoumis ha giustificato la scelta spiegando che Valls “sostiene tesi etniciste vicine a quelle del Front national e dell’estrema destra israeliana”. Cosa c’entri con la Nuova Caledonia, che è nell’oceano Pacifico, non è stato chiarito.