Sebastian Kurz. Foto LaPresse/Xinhua

A Vienna la partita elettorale si gioca a destra

Paola Peduzzi

Le elezioni si avvicinano mentre la campagna subisce uno scandalo “che fa molto 2017”

Milano. Le elezioni austriache, previste per il 15 ottobre, sono state appena travolte da uno scandalo che alcuni media definiscono giustamente “molto 2017”. Il Partito socialdemocratico (Spö), partner di maggioranza della grande coalizione al governo guidata dal cancelliere Christian Kern, è stato accusato di aver ordito una campagna sui social per screditare (sarebbe meglio dire: distruggere) il ministro degli Esteri Sebastian Kurz, il trentunenne leader dei popolari (Övp) favoritissimo alle elezioni.

   

Un consulente dei socialdemocratici, Tal Silberstein, ha messo in piedi una piccola unità di lavoro per produrre materiale screditante nei confronti di Kurz, in particolare due pagine Facebook ora offline. Kurz viene indicato con il soprannome dispregiativo “Fakebasti” ed è sostanzialmente rappresentato come uno che copia il programma – le idee, le ispirazioni – dell’estrema destra austriaca del partito Fpö. Nella “character assassination” c’è tutto: retorica anti immigrazione portata all’estremo, legami tra Kurz e “l’uomo nero” George Soros, e via dicendo. Secondo la versione ufficiale dei socialdemocratici, l’autore della campagna non è più a libro paga del partito, sarebbe stato licenziato ad agosto in seguito a uno scandalo finanziario, ma molti media sostengono che in realtà Tal Silberstein abbia continuato a lavorare, con la missione precisa di disintegrare con fake news, Photoshop, meme l’immagine del ministro degli Esteri Kurz. Al dibattito tv di domenica – al quale partecipava anche il leader dell’Övp Heinz-Christian Strache – non si è parlato d’altro: il cancelliere Kern dice che si andrà fino in fondo e i responsabili saranno trovati e puniti; Kurz dice che questo modo di fare politica deve finire; Strache chiede le dimissioni di Kern.

   

Lo scandalo “molto 2017” ha inasprito una campagna elettorale che non è mai stata promettente, soprattutto sul tema controverso dell’immigrazione – come sappiamo bene noi che stiamo da questa parte del Brennero e che abbiamo sentito spesso parlare di carri armati ed esercito in arrivo sul confine (notizie sempre smentite, ma il governo austriaco non ci ha quasi mai fatto una bella figura). La grande coalizione, come spesso accade, non è apprezzata dagli elettori, e alle presidenziali del 2016, tormentatissime e lunghe quasi un anno, il disamore è risultato evidente: al ballottaggio arrivarono il candidato della destra estrema e il candidato dei Verdi (vinse quest’ultimo, Alexander van der Bellen, facendo tirare un sospiro di sollievo agli europei alle prese in quel momento con il picco dell’ondata populista). Kern è diventato cancelliere nel maggio del 2016, quando si è dimesso il suo predecessore, Werner Faymann, e ha goduto di un certo consenso almeno fino a quando non Kurz non si è appropriato della strategia dei popolari, innescando le elezioni anticipate e costruendo una campagna su se stesso. A Vienna i cartelloni di Kurz sono ovunque, il partito ha cambiato i propri colori (ora è il turchese), in lista sono stati messi personaggi dello spettacolo e dello sport, e l’Övp ha avuto un riscontro immediato di consensi. A sinistra invece Kern ha perso pezzi: complice una lotta di potere tra i Verdi, è nata una nuova lista che mette insieme i fuoriusciti dai Verdi e dai socialdemocratici che è stata definita il primo partito di populismo di sinistra dell’Austria. Con sedici formazioni al voto – il più alto numero dal Dopoguerra – le previsioni sulla coalizione di governo sono incerte, e anzi incerti sono, secondo i sondaggi, moltissimi elettori. I popolari di Kurz sono favoriti, e la coalizione più probabile sia tra Kurz e l’ultradestra di Strache, al secondo posto nei sondaggi. Il cancelliere Kern dice che se il suo partito non arriva primo – è terzo, a volte secondo, nei sondaggi: se la gioca con l’ultradestra – andrà di certo all’opposizione. E così mentre si conferma il fatto che il populismo di destra batte quello di sinistra (che l’Austria fosse un’eccezione era pure improbabile), c’è chi pensa, come il Financial Times, che il modello sia quello norvegese: includere gli estremisti al governo, e portarli così su toni più moderati. 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi