Donald Trump (foto LaPresse)

I media continuano a godersi il "Trump bump", che però non è affatto a senso unico

Paola Peduzzi

Più audience, più abbonamenti, più condivisioni per tutti. Ma nel mondo conservatore l’effetto si sente molto di più. Tre nomi e un’anomalia

Milano. Lo show business trumpiano è da sempre redditizio, i media americani da mesi ormai – tutto è iniziato durante la campagna elettorale dell’anno scorso – sottolineano come la presidenza Trump, sovente suo malgrado, abbia resuscitato il mondo dell’informazione. Più pubblico, più abbonamenti, più condivisioni: ognuno va a caccia della verità, e ora rischia di trovarne una che gli piacerà, lo soddisferà, lo farà brillare alle cene – una verità a propria immagine e somiglianza, che meraviglia della modernità. Mentre il New York Times e il Washington Post si contendono ogni giorno lettori e attenzioni a suon di rivelazioni antitrumpiane più o meno saporite – i due direttori duellano da lontano nei tanti convegni che si tengono sul futuro dell’informazione: ci fanno tornare indietro nel tempo, molto indietro – il padre-padrone del National Enquirer, David Pecker, diventa star conclamata del trumpismo, con bollino d’autenticazione stampigliato nientemeno che dal New Yorker, e racconta del suo legame con il presidente americano, delle differenze tra lui e un Rupert Murdoch, e della propria voracità. Pecker vorrebbe acquisire Time Inc., la società che pubblica tra gli altri i magazine Time e People, stravolgendo il mercato dell’informazione in nome di un’amicizia solidissima (per la cronaca: Pecker sta cercando un partner, non può permettersi di compare da solo il colosso).

 

Il “Trump bump”, così si chiama l’effetto presidenziale sui media (si usava la stessa espressione anche per l’economia, ma il “bump” in questo campo pare non esserci più), non è affatto a senso unico: a noi piace raccontare i benefici portati al cosiddetto “giornalismo di qualità” (che poi fa gli errori della Cnn però, e tocca ricominciare da capo), la verità contro il fake permanente, ma non ci sono soltanto questi. Anzi. La nuova sezione “Media Trends” di Axios (la creatura di Mike Allen, ex di Politico) ha pubblicato uno studio di Newswhip, sulla scorta di dati forniti anche da Pew Research, che analizza in particolare il coinvolgimento degli americani sui social media ma si allarga anche ai media tradizionali, e ci sono alcuni spunti non scontati. Il punto di partenza è che il balzo riguarda molto più gli outlet trumpiani che quelli antitrumpiani: “Mentre continuiamo a farci ossessionare da Trump su Twitter, la sua base su Facebook diventa più grande e probabilmente più efficace nel modellare l’opinione pubblica”, scrive Sara Fischer su Axios. Secondo Pew, quasi la metà degli adulti americani s’informa su Facebook, che guida uno stato composto da due miliardi di utenti, e che quindi ha una potenza che molti altri – Twitter di certo – si sognano. Ma c’è anche un’altra stella in questo firmamento conservatore illuminato dal trumpismo, ed è quella di Drudge Report. “Il guardiano”, così viene soprannominato il sito di Matt Drudge che divenne famoso con Monica Lewinski e il sesso nello studio ovale: si tratta di un aggregatore, ma di un aggregatore potentissimo. Secondo questo studio, Drudge è al sesto posto nella classifica di chi porta più traffico ai siti di informazione, più di Google News per dire, più di Reddit, Linkedin, Pinterest.

 

Sulla televisione la polarizzazione è quasi perfetta. Fox News cresce e cresce molto, e gode di un primato: è il network che più ha accesso al presidente e al suo entourage rispetto a tutti gli altri (ci sono tonnellate di speculazioni, pettegolezzi e analisi sul “vero rapporto” tra Trump e Rupert Murdoch, ora che non c’è più Roger Ailes ancora di più). Ma Msnbc sta vincendo la corsa del “primetime disruptor”, ai danni proprio di Fox News: Rachel Maddow e la sua trasmissione molto molto di sinistra ha insidiato ormai con costanza la leadership di Fox, a dimostrazione che il centro moderato, nel mondo delle informazione ai tempi di Trump, non esiste quasi più (secondo Pew, il 57 per cento degli americani continua a informarsi prevalentemente attraverso la televisione). Vanno forte i prodotti editoriali degli ex obamiani così come la satira, ma tra gli influencer più rilevanti su Facebook e Periscope ci sono due nomi che ormai abbiamo imparato a conoscere: Mike Cernovich, cospirazionista in chief del trumpismo (al punto che “i democratici vogliono uccidermi”), e Jack Posobiec, che è stato accolto nel press corp della Casa Bianca e che è considerato l’autore del leak anti Macron che, alla vigilia delle presidenziali francesi, volevano gettare un po’ di discredito sul futuro presidente. 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi