Foto Pixabay

Perché la Cina non sopporta l'"aria di libertà" che si respira in America

Eugenio Cau

In Cina da settimane si discute di patriottismo e delle influenze nefaste dei valori occidentali sugli studenti cinesi all’estero. Le reazioni dopo il caso di una studentessa in Maryland

Roma. In Cina da settimane si discute di patriottismo e delle influenze nefaste dei valori occidentali sugli studenti cinesi all’estero, dopo che Yang Shuping, laureanda dell’Università del Maryland, ha ammesso nel suo discorso di laurea di apprezzare l’“aria di libertà” che ha respirato durante il suo periodo di studi in America. La vicenda da settimane occupa i media cinesi e si riverbera su quelli internazionali: la giovane Yang, parlando durante la cerimonia di laurea a fine maggio, ha detto che tutte le volte che qualcuno le chiede perché ha deciso di frequentare l’università in America lei risponde: “Per l’aria pura”. Prima ha fatto riferimento all’aria atmosferica e priva di smog dei cieli americani, ma poi ha aggiunto un altro tipo di aria pura che in Cina non si trova: “Quella della libertà di parola”. Il discorso è durato in tutto otto minuti ed è diventato un’ode appassionata alla libertà: “La libertà è ossigeno, la libertà è passione, la libertà è amore. Come ha detto il filosofo francese Jean-Paul Sartre: ‘La libertà è una scelta’”.

 

Il video del discorso è diventato virale su internet in Cina e ha provocato reazioni che vanno dallo scandalizzato al furioso. Sui social cinesi il video è stato condiviso milioni di volte con commenti brutali sulla studentessa ingrata che “umilia la Cina”, “cane al guinzaglio dell’occidente”. I suoi stessi colleghi cinesi all’Università del Maryland hanno pubblicato un video in cui smentiscono Yang e fanno professione di amore per la patria. Account nazionalisti hanno iniziato a divulgare traduzioni falsate del discorso per rendere le sue parole particolarmente anti cinesi, e in pochi giorni hanno pubblicato i contatti personali della studentessa (indirizzo, numero di telefono, profili social) per poterla tormentare con ogni mezzo. Alla fine, Yang ha dovuto pubblicare sul suo profilo Weibo un messaggio di scuse (“non intendevo in nessun modo negare o sminuire il mio paese”), ma non è bastato. Nei giorni successivi sono iniziate le teorie del complotto, che vedono nella povera Yang una spia al soldo degli americani, fino a che (siamo ormai a fine maggio) è arrivato il sigillo ufficiale del ministero degli Esteri, che per bocca del suo portavoce ha condannato Yang in un commento stranamente fuori protocollo: “I cittadini cinesi dovrebbero essere responsabili delle cose che dicono”.

 

Il mezzo milione abbondante di studenti cinesi in America, più le centinaia di migliaia di ragazzi cinesi che studiano in Europa, sono da tempo un enigma per gli osservatori occidentali. Il tipico wishful thinking occidentale immagina da sempre che, una volta esposti ai nostri valori di libertà e tolleranza, i giovani che provengono da paesi non democratici ne riconoscano automaticamente la superiorità. Non è quasi mai così, specie quando i giovani in questione provengono dalla Cina, paese fiero, in forte ascesa e capace di coniugare un’ampia libertà personale con la repressione politica. I giovani cinesi sembrano impermeabili ai valori occidentali, e questo fa andare gli occidentali giù di matto. Ma ciò non significa che esistano eccezioni come Yang, che è rimasta affascinata dalla libertà americana e ha osato dirlo in pubblico.

 

Questi sono gli effetti indesiderati dell’offrire ai figli della borghesia cinese un’educazione all’estero, e per evitarlo Pechino è corsa ai ripari. Le direttive del ministero dell’Istruzione approvate lo scorso febbraio hanno imposto l’obbligo di fornire una “educazione patriottica” a tutti gli studenti, anche quelli all’estero. Questa educazione comprende princìpi come “seguire sempre il Partito”. Più di recente, questa settimana, il governo ha deciso di rispondere all’occidente con la sua stessa moneta, annunciando che gli studenti stranieri che studiano in Cina dovranno sostenere delle lezioni obbligatorie di “lingua, cultura e politica”, e dovranno essere seguiti da speciali “istruttori”. La stretta ideologica del governo di Xi Jinping sul mondo dell’educazione va avanti da tempo. Il caso di Yang Shuping è una falla del sistema ma anche una speranza per chi ha ancora fiducia nei valori universali.

Di più su questi argomenti:
  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.