L'interventismo ci ha portato i terroristi in casa, dice Corbyn

Paola Peduzzi

Riparte la campagna elettorale nel Regno Unito. Il leader laburista, che risale nei sondaggi, parla contro la guerra al terrore

Milano. Abbiamo fatto la guerra al terrore, siamo andati a combattere in paesi stranieri e ora ci ritroviamo con i terroristi in casa: i soldati per le strade britanniche dimostrano che abbiamo sbagliato tutto, che la strategia interventista ha fallito. Così ha parlato ieri Jeremy Corbyn, leader del Labour inglese, rientrato in campagna elettorale dopo la sospensione dettata dall’attentato di Manchester – e approfittando dell’assenza del premier conservatore, Theresa May, impegnata nel G7 a Taormina. La caccia alla cellula del terrorista Salman Abedi che ha colpito all’Arena di Manchester continua, con arresti e ricostruzioni, ma il silenzio elettorale è stato rotto, si ricomincia proprio dal massacro, sicurezza e politica estera. “Molti esperti, inclusi professionisti della nostra intelligence e dei nostri servizi di sicurezza – ha detto Corbyn, parlando nella stanza a Westminster in cui il suo predecessore Ed Miliband diede le dimissioni dopo la sconfitta del 2015 – hanno sottolineato il legami tra le guerre che i nostri governi hanno sostenuto o combattuto in altri paesi, come in Libia, e il terrorismo qui da noi”, mettendo poi le mani avanti: “Nessuna ragione fondata sulle azioni di alcun governo può nemmeno lontanamente giustificare o spiegare l’indecenza del massacro di questa settimana”. Corbyn non arriva a dire che ce lo siamo cercati, l’attacco dii Manchester, ma insomma, non abbiamo fatto nulla per evitarlo, anzi – ci sono sempre tanti però nella retorica corbyniana – andando a combattere il terrorismo all’estero abbiamo aumentato la minaccia a casa, “il Labour propone una politica estera che diminuisce, invece che aumentare, le minacce contro il Regno Unito”. Farò di tutto per tenere al sicuro il mio paese, ha detto Corbyn senza entrare nei dettagli (che probabilmente non esistono), ma le truppe saranno inviate all’estero soltanto quando richieste a livello internazionale e in presenza di “piani di pace durevoli”.

 

Il leader laburista ha una storia personale legata al mondo di Stop the War, pacifismo a senso unico (contro gli americani sì, contro i russi o contro Assad no), e quindi almeno il suo discorso di ieri non può essere tacciato di opportunismo politico. Ma invocando “il coraggio” di rifiutare qualsiasi ispirazione interventista Corbyn non soltanto sotterra – ancora una volta – la fase (vincente) del blairismo, ma spacca ulteriormente il fronte occidentale che sulla lotta al terrorismo ha già trovato molti modi di dividersi. I commentatori dicono che questa retorica è popolare: il Labour sta risalendo nei sondaggi, secondo l’ultima rilevazione (che è stata condotta prima dell’attentato di Manchester), ormai la distanza con i Tory è molto ridotta. Cinque per cento di consensi di scarto, contro i quasi venti che fino a tre settimane fa sembravano inossidabili, e anche se in termini di leadership la May continua a essere molto più credibile di Corbyn, questo “surge” laburista preoccupa non poco i conservatori che ormai si erano abituati all’idea di una marcia trionfale che avrebbe ridotto il Labour ai minimi storici.

 

Molti politici, dai liberaldemocratici ai Tory, ieri hanno condannato le parole “irresponsabili” di Corbyn, che rema contro a un già difficile accordo internazionale, tra Nato e G7, sulla collaborazione nella lotta al terrorismo. Ma come ha spiegato George Eaton sul Newstatesman, “l’elettore medio non può che condividere” la retorica corbynista, perché la ferita dell’interventismo in Iraq nel Regno è ancora aperta. Se si aggiunge che il Labour ha creato un attivismo che non c’era, mobilitando chi si era sentito a lungo senza una casa, diventa chiaro anche il problema del “surge” e il panico di molti sondaggisti: potrebbero essere decisivi i “non voters”, quelli che non votavano e che invece ora dicono di volerlo fare, esattamente come accadde con il referendum sulla Brexit.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi