Pablo Iglesias (a destra) e il suo numero due, Inigo Errejon, durante il "Question Time" al Parlamento spagnolo (foto LaPresse)

Col congresso in arrivo, Podemos è perso nella lotta tra correnti

Eugenio Cau

La formazione antisistema spagnola è frantumata in almeno tre tronconi, più partito tradizionale che forza rivoluzionaria, e il risultato è che la sua spinta propulsiva sembra ormai esaurita

Roma. Pablo Iglesias aveva terminato l’anno parando gli attacchi da destra per trovarsi all’inizio del 2017 scoperto alla sua sinistra. Podemos, la formazione antisistema spagnola di cui Iglesias è leader e fondatore, è ormai lontano anni luce da quel movimento agile e idealista che aveva colto la politica iberica di sorpresa e che ancora un anno fa sembrava pronto a conquistare il primato nella sinistra, dando il via a una rivoluzione di livello europeo. Persa la battaglia per la Spagna, con il premier conservatore Mariano Rajoy sempre più saldo al potere pur governando in minoranza (giusto ieri le cronache politiche spagnole hanno iniziato prematuramente a parlare della possibilità di un terzo mandato per Rajoy), Podemos non ha più trovato lo slancio e ha iniziato a essere divorato dalle lotte interne. La prima e più importante fronda è quella di Iñigo Errejón, numero due del partito e amico fraterno di Iglesias, ma sostenitore di una strategia più accomodante, che vorrebbe trasformare Podemos in un partito socialdemocratico aperto al confronto. Iglesias invece non vuole perdere la componente movimentista di Podemos, e vuole un partito più intransigente, senza compromessi né di programma né con le altre forze politiche.

Durante quasi tutto il 2016, nei lunghi dieci mesi in cui i partiti politici spagnoli non sono stati in grado di esprimere un governo nonostante due tornate elettorali, Iglesias ed Errejón hanno battagliato senza sosta, ancorché sottotraccia, sulla possibilità di stabilire alleanze con le altre forze della sinistra in chiave anti Rajoy. Il primo scontro diretto tra le due correnti è avvenuto a Madrid lo scorso novembre, dove il candidato “pablista” alla guida del partito ha vinto la conta interna contro quello “errejonista”. Il secondo scontro è arrivato alla metà del mese scorso, quando la base del partito è stata chiamata a votare le regole del prossimo congresso di Podemos, che si terrà a febbraio. Iglesias ed Errejón erano a capo di due mozioni differenti, e il segretario ha vinto di un soffio: 41 per cento contro 39 per cento, abbastanza per fare di Errejón un’alternativa credibile. Buona parte dei voti rimasti è andata alla mozione di un terzo candidato, Miguel Urbán. Eurodeputato, Urbán è a capo di una terza corrente di Podemos che nelle ultime settimane è diventata sempre più importante, anche visto il ruolo di ago della bilancia che potrebbe giocare al congresso. Urbán e i suoi sono chiamati “gli anticapitalisti”, perché vorrebbero applicare il massimalismo estremo non solo ai metodi della lotta politica, come vorrebbe Iglesias, ma anche e soprattutto ai programmi.

Gli anticapitalisti accusano il partito di aver abbandonato per necessità elettorali le componenti più rivoluzionarie del primo programma di Podemos, come l’introduzione di un reddito universale di cittadinanza, la nazionalizzazione dei settori strategici dell’economia, il ripudio della parte del debito pubblico considerata come ingiusta. Gli anticapitalisti hanno ricevuto il 10 per cento alle votazioni sulle regole interne, e ieri hanno inflitto una delusione a Iglesias dicendo che al congresso di febbraio presenteranno una mozione indipendente, pur continuando a sostenere Iglesias come segretario (cosa che dice di voler fare anche Errejón). Insomma, al congresso che si terrà nel palazzo madrileño di Vistalegre e che dovrebbe essere il più importante dal 2014, quando nello stesso palazzo fu fondato il movimento, Podemos si presenta frantumato in almeno tre tronconi, più partito tradizionale che forza rivoluzionaria, e il risultato è che la sua spinta propulsiva sembra ormai esaurita.

Le ultime settimane hanno costituito un momento di assestamento per tutti i partiti spagnoli. Il Partito popolare di Rajoy ha visto le dimissioni dell’ex premier José María Aznar da presidente onorario e sta cercando di formare un nuovo laboratorio politico dopo la rottura dei rapporti con Faes, il think tank aznariano. Il Partito socialista, anch’esso dilaniato dalla lotta tra le correnti, vive in queste ore il siparietto di un gruppo di dissidenti che ha affittato degli uffici vicino alla sede storica di calle Ferraz, confondendo i visitatori. I centristi di Ciudadanos lottano per non finire definitivamente inglobati dai popolari. Ma è Podemos a vivere la crisi peggiore, che va oltre la normalizzazione. Al congresso di Vistalegre, Pablo Iglesias dovrà decidere se si può davvero vivere di solo massimalismo.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.