Un agente sul tetto accanto alla bandiera turca durante una manifestazione a piazza Taksim (foto LaPresse)

Nella versione di Erdogan con la Nato non ci sono guai. Più o meno

Maurizio Stefanini
Alcuni esponenti legati ad Ankara spiegano le conseguenze del non-golpe, tra rassicurazioni e avvertimenti.

Roma. Chiusi 131 mezzi di informazione, arrestati 130 giornalisti, sospesi 1.157 rettori e 15.200 insegnanti, sospesi 7.850 agenti di polizia, arrestati 178 tra generali e ammiragli, arrestate 18.000 persone, licenziate 50.000. Per evitare una dittatura golpista la Turchia sta andando incontro a una dittatura peggiore? “Ho l’impressione che alcuni interlocutori non abbiano compreso appieno le dimensioni e la portata del tentativo di colpo di stato che la Turchia ha dovuto affrontare la notte del 15 luglio”, risponde al Foglio l’ambasciatore di Ankara in Italia, Aydin Adnan Sezgin. “Ma considerando che non hanno vissuto un’esperienza simile, in un certo senso posso capirli. Ricordiamoci il bilancio: sono stati uccisi 246 martiri durante la resistenza del nostro popolo contro il golpe, e 2.500 persone sono rimaste ferite. Sono stati bombardati gli edifici della presidenza della Repubblica, la Grande assemblea nazionale turca e alcune istituzioni statali. Stiamo cercando di guarire le ferite causate da un massacro compiuto dai terroristi in divisa militare”.

 

La versione dei sostenitori del presidente Recep Tayyip Erdogan è sempre la stessa: “Dopo il sanguinoso tentativo di colpo di stato in Turchia avvenuto la notte del 15 luglio, si è creato un clima caratterizzato da una sensibilità piuttosto elevata – dice, parlando sempre con il Foglio, Türker Ari, plenipotenziario turco e consigliere al Nato Defence College di Roma. Ma secondo Ari “le operazioni meticolosamente condotte e le misure di detenzione o di arresto applicate sono in piena conformità con le leggi interne, nonché con gli impegni e obblighi internazionali della Turchia. Non siamo di fronte ad alcun allontanamento dai principi fondamentali della nostra Costituzione, che definiscono la Turchia come uno stato di diritto democratico, laico e sociale. Il nostro paese è tra i membri fondatori del Consiglio d’Europa e ha sempre dimostrato la massima lealtà ai principi universali della legge”. Italiana residente ad Ankara come Assistant professor presso l’Università dell’Associazione aeronautica turca, Valeria Giannotta, ci parla addirittura di “una percezione pregiudiziale nei confronti della Turchia. La cosa è diventata molto evidente, e quasi insostenibile, dopo gli avvenimenti del 15 luglio quando si sono lette analisi di ogni tipo: dal golpe prefabbricato alla reintroduzione della sharia (mai peraltro esistita in Turchia), al ripristino del reato di pedofilia, alla legittimazione delle spose bambine. Il dato che ne ricavo è che questa Turchia e questo leader non fanno simpatia nei salotti europei né nei settori di destra, né in quelli di sinistra”.

 

Sia Türker Ari sia Valeria Giannotta sono relatori al XIII Workshop annuale di geopolitica ed economia internazionale organizzato dal think tank Il Nodo di Gordio e dal Centro studi Vox Populi a Pergine Valsugana e Montagnaga di Pinè (Provincia di Trento) in corso in questi giorni. Tema conduttore: “Soft Power Hard Power. Nuovi scenari lungo la Via della Seta”. Con la Turchia tradizionalmente ben rappresentata all’evento, questa è anche un’occasione per il governo di Erdogan di spiegarsi, e pur bloccato a Roma dall’emergenza anche l’ambasciatore Sezgin si è offerto di rispondere. “Nelle loro dichiarazioni dopo questo sanguinoso tentativo, sia il nostro presidente sia il nostro primo ministro hanno ripetutamente sottolineato che tutte le misure e i provvedimenti saranno adottati nel pieno rispetto delle leggi interne e degli impegni ed obblighi internazionali della Turchia. Non c’è alcun cambiamento nei principi di politica estera del nostro paese. Analogamente, non è in corso un processo di abbandono della laicità. La laicità è uno degli elementi fondamentali sia della nostra Costituzione sia del nostro codice civile. La nostra definizione di democrazia è assolutamente identica alla vostra”.

 

E gli arresti di massa? “In questo momento vengono adottate misure notevoli per ridurre al minimo la minaccia rappresentata da un’organizzazione estremamente pericolosa, in seguito ad un avvenimento straordinario realizzato dalla stessa. Queste misure non segnano un allontanamento dal rispetto per i diritti umani, ma dimostrano la gravità della minaccia, e le adottiamo in piena conformità con i principi dello stato di diritto”. Ma è stata anche sospesa la  Convenzione europea sui diritti umani… “In base all’articolo 15 della stessa. Si tratta di una misura adottata precedentemente anche dalla Francia”.

 

Il governo turco nega una deriva autoritaria, e anche sull’allontanamento tra Turchia e occidente fornisce una versione diversa da quella prevalente nei nostri media. “Come dimostrano le parole forti del segretario generale della Nato pronunciato subito dopo il tentativo di golpe, non c’è alcun incrinamento dei rapporti tra la Turchia e la Nato”, obietta Türker Ari. “Faccio fatica a capire su quali basi logiche si sia formata tale impressione. Se si tratta di un’impressione creata da alcune cerchie marginali che non vogliono la Turchia nella Nato, vi lascio immaginare le possibili conseguenze di una Nato senza la Turchia”. Più che una smentita pare quasi un avvertimento. E la stretta contro il partito filocurdo Hdp? “Tutti i partiti politici rappresentati nella nostra Grande assemblea nazionale hanno dimostrato una presa di posizione comune contro il golpe, e il nostro primo ministro ha annunciato che tutti i partiti politici potranno contribuire ai processi di revisione e modifica della Costituzione”, afferma l’ambasciatore Sezgin. “Anche l’Hdp ha comunicato di esser pronto a prendere parte ai lavori”. Sulla pena di morte, Türker Ari è sibillino. “Non è prevista nella nostra Costituzione. Il suo eventuale reinserimento potrà avvenire tramite una decisione della Grande assemblea nazionale turca”. Non è quindi escluso.

 

Fethullah Gülen: in occidente non si è portati a credere che questo predicatore esule abbia organizzato il colpo di stato (e Gülen smentisce di continuo). L’ambasciatore Sezgin racconta invece che “il nostro Capo di stato maggiore, catturato durante il tentato golpe, tenuto in ostaggio con le mani legate e costretto a firmare un comunicato, ha dichiarato che i golpisti avevano cercato di metterlo in contatto con Gülen”. Per far capire agli italiani chi sarebbe in realtà Gülen, ci invita a immaginarci “una struttura simile a quelle della loggia P2 e della mafia messe insieme”.

 

Adesso, comunque, il fallito golpe sembra portare però a un riavvicinamento tra Erdogan e Putin, con la visita a San Pietroburgo del 9 agosto. Secondo Valeria Giannotta, “Damasco, Ankara e Mosca hanno combattuto il comune nemico, lo Stato islamico, da diverse angolazioni ed erano contrapposti sulla dipartita di Bashar el Assad. Oggi si ha la sensazione che entrambe le parti si siano ammorbidite sulla questione: per Putin è di vitale importanza il mantenimento delle basi strategiche mentre per Ankara è imperativo evitare un effetto di spill-over interno. Il tutto in un momento in cui le relazioni con gli Stati Uniti non sono al massimo sia per le questioni interne legate all’estradizione di Gülen sia per la divergente percezione della componente armata curda oltre confine”.