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Perché il deficit democratico della Turchia potrebbe mettere a rischio la sicurezza nella Nato

Eugenio Cau
Dei requisiti necessari per l’ingresso nella Nato (un sistema democratico stabile, la risoluzione pacifica delle dispute territoriali ed etniche, buone relazioni con i vicini, sostegno dello stato di diritto e dei diritti umani, controllo democratico e civile delle Forze armate, sviluppo di un’economia di mercato) la Turchia rispetta soltanto l’ultimo.

Roma. Facciamo finta che la Turchia non sia mai entrata nella Nato nel 1952 e che per oltre sessant’anni non sia stata un bastione insostituibile della strategia euroatlantica durante la Guerra fredda. Con un esercizio di fantapolitica, immaginiamo che Ankara faccia richiesta di entrare nel club dei paesi atlantici soltanto oggi. Difficilmente sarebbe accolta a braccia aperte. Dei requisiti necessari per l’ingresso nella Nato (un sistema democratico stabile, la risoluzione pacifica delle dispute territoriali ed etniche, buone relazioni con i vicini, sostegno dello stato di diritto e dei diritti umani, controllo democratico e civile delle Forze armate, sviluppo di un’economia di mercato) la Turchia rispetta soltanto l’ultimo, almeno per ora. E le purghe che in questi giorni hanno fatto seguito al fallito colpo di stato militare, con decine di migliaia di funzionari pubblici, poliziotti e militari licenziati, arrestati o sospesi, non fanno che rendere più urgente una domanda: ha ancora senso la presenza della Turchia nell’Alleanza atlantica? “Sicuramente no, non con il governo di Erdogan”, dice al Foglio l’analista americano Edward Luttwak, che aggiunge: “Per la Nato la Turchia era un alleato infido almeno dal 2003, e Ankara doveva essere espulsa già allora. Le purghe di questi giorni rinnovano solo l’urgenza all’azione”.

 

Proprio dalle colonne del Foglio, Luttwak era stato tra i più decisi sostenitori della causa dell’espulsione di Ankara dalla Nato, e dice che il fatto che questa settimana, nel pieno delle purghe, il segretario di stato americano John Kerry abbia per la prima volta messo in discussione la permanenza della Turchia nell’Alleanza è un segno che anche l’Amministrazione Obama forse si è svegliata. “Obama non ha mai smesso di sostenere Erdogan, sperando in una commistione ormai morta tra democrazia e islam, nemmeno quando questi aveva iniziato a smantellare il sistema democratico, nemmeno quando ha negato l’uso della base Nato di Incirlik ai caccia della coalizione occidentale contro lo Stato islamico. Adesso però l’elemento della tirannide di Erdogan non è più occultabile, e costringe a riesaminare il dossier della lealtà della Turchia alla Nato. Il responso di questo dossier è semplice: la Turchia è un alleato non più affidabile né leale”. La Nato, certo, non è un’alleanza di tipo valoriale. La Turchia ricopre da sempre un ruolo geostrategico fondamentale, ma adesso il problema diventa capire se il prezzo di questa alleanza sia ragionevole.

 

“Il deficit democratico in uno dei paesi membri porta anche a un deficit di sicurezza, e mina le capacità dell’alleanza e dei suoi eserciti”, dice Aykan Erdemir, senior fellow alla Foundation for Defense of Democracies. “La permanenza della Turchia nell’Alleanza è fondamentale per il mondo transatlantico, ma questa è possibile solo se la Nato riuscirà a prevenire l’allontanamento della Turchia dai valori transatlantici e dagli obiettivi dell’alleanza”. La Turchia ospita a Incirlik circa 50 bombe all’idrogeno americane, e in questi giorni molti commentatori, per esempio il magazine Foreign Policy, notavano come le intemperanze interne di Erdogan siano segno che un patrimonio nucleare tanto terrificante potrebbe non essere più al sicuro. Per Carlo Frappi, ricercatore dell’Ispi specializzato in politica estera turca, Ankara non è un alleato inaffidabile, ma “lo scollamento soprattutto di politiche e obiettivi è diventato evidente, specie nel caso della guerra siriana”. Qui, più di ogni altro scenario, la Turchia si è mostrata decisa a perseguire una propria strategia anche quando questa ha cozzato contro gli interessi della Nato.

 

“E’ il caso più lampante di un’incoerenza che attraversa tutta l’alleanza euroatlantica”, prosegue Frappi, “ma questo non significa che non si possa cooperare sugli interessi comuni, anzi: ora più che mai la Turchia ha bisogno della Nato e viceversa”. L’alleanza tra Nato e Turchia è data come un fatto così ineluttabile che è difficile pensare altrimenti, tanto che i trattati della Nato non prevedono procedure d’uscita per gli stati membri. Esattamente come con l’Ue, ma ora sappiamo che nessuno è davvero inamovibile.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.