Un soldato siriano nella provincia di Suweida (foto LaPresse)

La guerra al terrore è una guerra

Redazione
Colpire l’islamismo nelle sue roccaforti è necessario per sconfiggerlo.

I tabù della civilizzazione sono stati violati, ha detto ieri Angela Merkel, difendendo la politica di accoglienza della Germania – ce la possiamo fare, sempre – e dicendo che la sicurezza interna ed esterna dell’Europa non possono più essere trattate in modo distinto. Nonostante le pressioni soprattutto dalla Baviera colpita dagli attentati, la cancelliera tedesca ha ribadito la sua politica, annunciando un piano di 9 punti per aumentare la difesa della Germania, “stiamo facendo tutto quel che è umanamente possibile”.

 

La sicurezza interna ed esterna vanno di pari passo, e questo riporta la discussione sul terrorismo in Europa alle sue origini, cioè laddove lo Stato islamico ha trovato terreno e santuari. Gli interventi militari in medio oriente sono considerati un’ultima spiaggia da non raggiungere mai, la lezione irachena è interpretata come un monito a non invischiarsi più in un’avventura così sfortunata e mortale. Dal 2005 al 2009 però, quando l’invasione irachena era al culmine, l’Europa non ha mai subìto attacchi e se è pretestuoso e un po’ cinico rilevare una correlazione diretta tra la missione militare e la sicurezza del nostro continente, è allo stesso tempo innegabile che la lotta al terrorismo deve intensificarsi laddove il terrorismo nutre e cresce i figli della sua ideologia jihadista. Ma questi nuovi lupi solitari sono europei, si dice. Il punto però è che non sono solitari, questi terroristi, sono uniti da una causa che viene progettata e propagandata dai feudi in Siria, Iraq e Libia. Se si distruggono quei feudi, con tutta probabilità il messaggio si indebolirebbe nelle sue filiali europee.

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