(foto LaPresse)

Ancora sangue in Cisgiordania, mentre cresce il boicottaggio europeo

Mauro Zanon
In Francia il primo comune che vieta i prodotti israeliani.

Parigi. E’ stata uccisa nel suo letto, mentre dormiva, da un giovane palestinese che è riuscito a superare il muro di sicurezza che protegge il quartiere di Harsanina e a penetrare nella sua abitazione. Aveva tredici anni Hillel Yafa Ariel, ragazza israeliana che viveva con i suoi genitori a Kyriat Arba, insediamento nei pressi di Hebron. I familiari e i vicini di casa l’hanno soccorsa immediatamente per provare a salvarla, ma non c’è stato niente da fare. Poche ore dopo il suo arrivo all’ospedale di Gerusalemme è deceduta, a causa della gravità delle ferite provocate dall’accoltellamento. Ancora sangue in Cisgiordania, ancora una vittima dell’intifada dei coltelli che dallo scorso ottobre a oggi ha causato la morte di trentasette cittadini israeliani e due statunitensi. L’attacco di ieri è uno dei più gravi da quando è scoppiata la “terza intifada”, al punto che il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, in concertazione con il ministro della Difesa, Avigdor Lieberman, ha ordinato all’esercito di chiudere il villaggio palestinese di Bani Naim, da dove veniva l’attentatore, di annullare i permessi di lavoro dei suoi famigliari e di avviare le procedure per la demolizione della loro casa.

 

Tra le altre cose, l’autore dell’accoltellamento, il diciassettenne Mohammed Taraireh, che le guardie armate hanno abbattuto subito dopo il suo assalto, è parente dell’uomo che a marzo ha compiuto un attacco con la sua auto nello stesso insediamento ebraico di Kyriat Abra. “Mi aspetto che la leadership palestinese condanni chiaramente e senza equivoci questo orrendo omicidio e prenda immediati provvedimenti per fermare l’istigazione”, ha dichiarato Netanyahu al termine di una riunione di sicurezza. “L’assassinio di una ragazzina nel suo letto – ha aggiunto – sottolinea la sete di sangue e l’inumanità dell’istigazione indotta nei terroristi che abbiamo di fronte”. “L’intero mondo – ha continuato Netanyahu – deve condannare questo omicidio come ha condannato gli attacchi terroristici di Orlando e Bruxelles”. Non si ferma l’intifada di coltelli, così come non si fermano in giro per l’Europa le pericolose iniziative di alcune entità pubbliche e associazioni che confermano un crescente clima di antisemitismo. L’ultima notizia in questa direzione giunge ancora una volta dalla Francia, che nel 2015, l’anno delle stragi jihadiste di Charlie Hebdo, dell’Hyper Cacher e del Bataclan, ha registrato ottomila “aliyah”, ritorni in Israele, diventando il primo paese europeo per numero di ebrei partiti. Giovedì scorso, la cittadina di Bondy, nel Seine-Saint-Denis, è diventata il primo comune europeo a rendere obbligatorio il boicottaggio dei prodotti degli insediamenti israeliani con solo 5 voti contrari in un’assemblea composta in totale da 45 eletti.

 

A rivelare la notizia, che è stata oscurata dai principali media parigini, è stato il giornale israeliano Haaretz, citando il sito controcorrente francese Rezo Citoyen. Il sindaco socialista del comune situato a nord di Parigi, Sylvine Thomassin, ha fatto votare la mozione non solo con l’obiettivo di non acquistare più prodotti provenienti dagli insediamenti israeliani, ma anche di “ricercare prima dell’acquisto l’origine dei prodotti che non specificano chiaramente la loro provenienza”, scrive Haaretz. La mozione, votata quasi all’unanimanità dal consiglio comunale guidato dalla sinistra, potrebbe tuttavia essere invalidata dalla giustizia francese. Ma restano le intenzioni, peggiori ancora la direttiva europea sull’etichettatura dei prodotti fabbricati negli insediamenti israeliani, adottata dalla Commissione europea nel novembre 2015. I consiglieri comunali hanno dichiarato nella loro mozione che “accettare o di rifiutare di acquistare dei prodotti in funzione della loro origine” è un “diritto civile legittimo”. Che in Francia tiri una brutta aria per la comunità ebraica, lo hanno appena evidenziato le cifre della aliyah. Che tra Parigi e Tel Aviv ci sia ancora molto da lavorare dal punto di vista diplomatico, lo certifica questa notizia.

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