Brexit, lezioni da Londra per futuri referendum

Pietro Micheli
Oggi si vota sulla Brexit, le profezie sul futuro del Regno Unito e nostro sono molte. Alcuni politici, esperti e giornalisti ci dicono come dovrebbe essere un’Ue che funziona, tra integrazione e risentimento.

Oggi si vota nel Regno Unito al referendum sulla permanenza nell’Unione europea. In gioco non c’è soltanto lo status britannico ma il futuro di tutto il continente. Abbiamo chiesto ad alcuni esperti internazionali che cosa pensano di questa consultazione e soprattutto come immaginano, come sognano, un’Europa che funziona. Per alcuni la Brexit è un’opportunità anche per il continente, per altri un disastro, tutti dicono che è necessario, comunque vada, reagire in fretta. Ecco l'intervento di Pietro Micheli. Tutti gli altri interventi sono disponibili nel Foglio di oggi, che potete scaricare qui.


 

Vivendo questo referendum dall’interno si nota come cinque fattori, soprattutto in caso di uscita del Regno Unito, saranno da considerare per eventuali consultazioni in altri paesi, inclusa l’Italia. Innanzitutto, nonostante il confronto duri da mesi, vi è una totale mancanza di sintesi. Ogni dibattito è scivolato su argomenti particolari e spesso in riferimento ai capifila delle due fazioni, in una specie di thriller di serie B tra il premier David Cameron e il suo oppositore, Boris Johnson, l’ex sindaco di Londra. Il secondo problema riguarda il ruolo dei media. I tabloid sono intenti alla caccia alle streghe, mentre Financial Times, Economist e Guardian controbattono. La Bbc avrebbe potuto giocare un ruolo imparziale e di informazione. Invece ha deciso di riportare le opinioni di entrambe le fazioni senza aiutare gli spettatori/lettori a comprendere la fondatezza e l’importanza di certe affermazioni. Il terzo fattore riguarda il disinteresse verso i dati, soprattutto da parte dei sostenitori della Brexit.

 

Il motivo principale per lasciare l’Ue è quello dell’immigrazione, che, effettivamente, è aumentata molto negli ultimi anni. Il problema è che, da sempre, la maggior parte degli immigrati viene da paesi esterni all’Ue! Poi, tutti gli studi evidenziano come gli immigrati europei diano un contributo netto positivo all’economia. C’è un problema anche che riguarda la credibilità e le ambizioni di chi propone di lasciare l’Ue. A capo del “leave” c’è Boris Johnson, di origini turche, da sempre a favore dell’ingresso della Turchia nell’Ue, e ora nemico giurato di Bruxelles in quanto – a causa dell’“imminente ingresso della Turchia” – l’Inghilterra sarebbe invasa da 76 milioni di turchi! E Nigel Farage, europarlamentare mai eletto in Inghilterra, che non vuole né albanesi né immigrati malati di Aids, e che sostiene che le strade di Londra sono piene di violentatori europei. Infine, in presenza di un dibattito più civile, tanta incertezza dovrebbe penalizzare i fautori del cambiamento. Invece, grazie a una strategia molto efficace, i sostenitori della Brexit sono riusciti a svincolarsi da qualsiasi questione concreta. Il messaggio per gli altri leader europei è chiaro: se il Regno Unito decide di uscire dall’Ue, la strategia per evitare le disastrose scazzottate inglesi dovrà tener conto di tutti questi fattori. Sempre che non si voglia far crollare il tempio su tutti quelli che lo abitano.

Pietro Micheli, Warwick Business School