Trump ha reso l'onore delle armi a Cruz, "avversario duro" (LaPresse)

Trump stravince in Indiana e mette le mani sulla nomination, Cruz si ritira

Kasich, nonostante la disfatta, resiste e dà appuntamento alla California. Tra i Democratici, Sanders batte Hillary

Il verdetto delle primarie dell’Indiana non è definitivo, ma questa volta manca davvero poco: Donald Trump è il candidato repubblicano alla Casa Bianca. Candidato “presumptive”, presunto, come ha scritto il capo del partito repubblicano, Reince Priebus, dopo che Trump ha raso al suolo per l’ennesima volta Ted Cruz, e la realtà, con la sua proverbiale testardaggine, ha obbligato il senatore del Texas a ritirarsi “con cuore pesante” dalla sua corsa verso il nulla. Aveva promesso di rimanere in gara fino al 7 giugno per tentare di impedire fino all’ultimo all’avversario di mettere insieme i 1.237 delegati che servono per ottenere la nomination alla convention di Cleveland, ma la credibilità di questo progetto si è progressivamente assottigliata.

 

L’abborracciata alleanza strategica con John Kasich, crollata poco dopo essere stata annunciata, era un presentimento a dir poco fosco. La sconfitta con oltre diciassette punti di distacco in uno stato a forte presenza evangelica, l’elettorato di riferimento di Cruz, ha dato il colpo di grazia. Soltanto Kasich ci crede ancora, si fa per dire. Dopo aver perso di 46 punti nell’Indiana i suoi consiglieri hanno detto che “finché uno non raggiunge i 1.237 non c’è un candidato” e danno appuntamento alla California, che chiude le primarie, e la manovra alimenta la vecchia teoria che il governatore dell’Ohio stia lavorando per la candidatura alla vicepresidenza con Trump. La tempistica dell’annuncio di Cruz ha colto di sorpresa anche il vincitore Trump, che si è trattenuto a lungo con Paul Manafort e gli altri membri dell’inner cricle per modificare quello che doveva essere un “normale” discorso della vittoria in un memorabile pezzo di retorica trionfale. Anche qui, però, il grande avanspettacolista ha offerto un colpo di teatro: il discorso pronunciato al quartier generale di New York non è stato affatto memorabile, e quando poteva infierire in modo roboante contro gli avversari, l’establishment e il fronte Never Trump che s’è dimostrato fragile come una linea Maginot, ha fatto un stump speech a bassa intensità.

 

Niente urla incontrollate e risate sarcastiche, niente doppi sensi da quinta elementare. Trump si è complimentato con Cruz, “avversario duro” e ha lanciato il guanto della sfida a Hillary, che nel frattempo ha perso contro Bernie Sanders in Indiana ma ha sempre un ampio vantaggi in termini di delegati. In quello che è di fatto il primo discorso da candidato “presunto”, Trump ha insistito in particolare sul messaggio protezionista, forse segnalando che è da lì che vuole partire per aggredire Hillary. Ma con Trump non si può mai dire.