Philippe Moureaux, ex sindaco di Molenbeek

Socialismo à la Molenbeek. Voto di scambio col jihad

Giulio Meotti
La conversazione si apre con un proverbio: “Nella terra dei ciechi il guercio è re, ma non in Belgio, dove chi ha cercato di sollevare il velo è rimasto solo”. A parlare così al Foglio è Alain Destexhe, figura di spicco dei liberali a Bruxelles.

Roma. La conversazione si apre con un proverbio: “Nella terra dei ciechi il guercio è re, ma non in Belgio, dove chi ha cercato di sollevare il velo è rimasto solo”. A parlare così al Foglio è Alain Destexhe, figura di spicco dei liberali a Bruxelles, già segretario di Médicins Sans Frontières e presidente dell’International Crisis Group, ma anche autore del libro “Lettre aux progressistes qui flirtent avec l’islam réac” (Editions du Cerisier). Una lettera-pamphlet che Destexhe ha dedicato all’uomo ritenuto responsabile della trasformazione di un grande sobborgo di Bruxelles nell’hub europeo della guerra santa islamica, Philippe Moureaux. Due giorni fa il premier belga, Charles Michel, ha detto che Moureaux ha una “responsabilità immensa”. “Per venti anni, ha regnato una sorta di omertà”, prosegue Destexhe. “Al centro di questo sistema c’era il potente Philippe Moureaux, sindaco di Molenbeek, tesoro dei media, che ha avuto un vero e proprio magistero morale e politico sulla politica di Bruxelles. Ha creato un clima di terrore intellettuale contro i pochi che osavano alzarsi. Philippe Moureaux aveva capito che il futuro del socialismo sarebbe passato dagli immigrati che sarebbero diventati, simbolicamente, il nuovo proletariato”.

 

Ma chi è Moureaux? Docente di Filosofia all’Università di Liegi, senatore, direttore dell’Institut Emile Vandervelde (il centro studi del Partito Socialista), vice premier nel governo Martens, ma soprattutto dal 1983 consigliere comunale e poi sindaco di Molenbeek per vent’anni (1992-2012). Figlio del ministro Charles Moureaux, Philippe è stato a lungo il beniamino della sinistra antirazzista. La “loi Moureaux”, la legge Moureaux, è infatti la norma che nel 1981 ha criminalizzato gli atti ispirati da xenofobia.

 

Soprannominato “Moustache” per i suoi baffi, sposato in seconde nozze a una musulmana tunisina, Philippe Moureaux, ancor prima di diventare sindaco di Molenbeek, si era sempre vantato di difendere i diritti degli immigrati. Come quando incluse, primo caso nella storia del Belgio, esponenti musulmani nelle liste comunali e regionali. Celebri i tour elettorali di Moureaux nelle moschee e la sua consultazione dei capi islamici. Questo rampollo della politica belga è stato il sindaco di Molenbeek per così tanto tempo che ha finito per incarnare il comune oggi strategico nelle rotte dell’Isis.

 

Moureaux li ha sempre difesi, i suoi immigrati di Molenbeek, e quando qualcuno provava a criticare il multiculturalismo, l’allora sindaco esclamava: “Questo è il metodo Goebbels, che attaccava gli ebrei come ora alcuni stanno attaccando i musulmani”. Le sue simpatie filoarabe risalgono alla guerra in Algeria, quando Moureaux difendeva i rappresentanti del Fronte di Liberazione Nazionale algerino, nascondendoli anche clandestinamente sulle alture di Lustin, nella regione di Namur.

 

Merry Hermanus, tuttofare del Partito Socialista a Bruxelles per decenni, ha accusato così Moureaux: “Senza le popolazioni immigrate, il Partito Socialista si sarebbe ridotto all’otto per cento dell’elettorato di Bruxelles. Ne siamo diventati prigionieri”. Qualche giorno fa, Moureux ha dato alle stampe il suo libro, “La verità su Molenbeek”. Lo ha scritto dopo le stragi del 13 novembre a Parigi, quando la classe politica ha iniziato a mettere in discussione il suo ventennato a capo del ghetto brussellese. Nel volume, Moureaux si rivolge ai “miei fratelli musulmani”, scrive che uno dei motori del jihadismo è la nostra “islamofobia” e castiga “una società che tratta le persone di origine immigrata come gli ebrei prima della guerra”. “Il multiculturalismo ha fallito perché abbiamo consentito alle comunità di autoescludersi senza integrarsi, causando una frammentazione della società”, continua al Foglio Alain Destexhe, liberale belga ed ex segretario generale di Medici senza frontiere. “Stiamo parlando di cittadini belgi che rifiutano i valori del nostro paese. Salah Abdeslam è un tipico esempio di ragazzo che avrebbe potuto condurre una vita confortevole. Aveva un salario decente e un lavoro garantito a vita”.

 

Perché ha scritto la “Lettre aux progressistes qui flirtent avec l’islam réac”? “Per denunciare quella sinistra che non si poteva criticare, perché stava al governo e dominava i media. Nel frattempo stavamo diventando il primo paese in Europa per numero di jihadisti e Bruxelles l’anello debole nella lotta contro questo islam reazionario. Era una strategia elettorale: Moureaux ha usato gli immigrati per restare al potere. Il problema è che le radici mentali del ‘sistema Moureaux’ sono sempre presenti tra i tanti politici socialisti eletti. Oggi metà degli ufficiali nei consigli locali e in Parlamento del Partito Socialista sono di origine straniera”. Per questo non hanno mai posto condizioni per dare la cittadinanza agli immigrati? “Era un patto politico elettorale. L’immigrazione legale (e illegale) veniva incoraggiata. Il ricongiungimento familiare veniva facilitato. Ci fu la concessione del diritto di voto agli stranieri, la lotta contro il razzismo divenne il nuovo paradigma del discorso politico. Il patrimonio storico laico e anticlericale del Partito Socialista venne gettato via. A favore di un modello comunitario: frequenti visite alle moschee, sussidi alle associazioni musulmane, fornitura dei servizi alle scuole coraniche, partecipazione al festival Eid El Kebir, marce anti-israeliane”. Quando era sindaco, Moureaux esortò persone a evitare di circolare in auto durante il Ramadan, in modo da non offendere i musulmani. “Durante il Ramadan, il centro di Molenbeek diventa una città morta dove è impossibile trovare un ristorante aperto”, dice Destexhe. “La maggior parte dei politici ha scelto di non ascoltare i sermoni sempre più radicali che nelle moschee affermano la superiorità dell’islam sui valori occidentali. E’ in questo clima che le organizzazioni radicali come il Centro Islamico belga e altre hanno prosperato liberamente. Molenbeek è diventata così la zona cresciuta più velocemente della regione di Bruxelles e del Belgio. La popolazione del quartiere è aumentata del dodici per cento in cinque anni e del trenta per cento in quindici anni. L’islamizzazione sta avvenendo sotto i nostri occhi. Già oggi il trenta per cento di Bruxelles è islamica”. E non c’è solo Molenbeek: “Ci sono Anderlecht, Bruxelles-Ville, Schaerbeek, Saint-Josse e Forest. Quando ero segretario di Medici senza Frontiere, negli anni Novanta, lavoravo spesso a Molenbeek. La popolazione era già in gran parte di origine immigrata, ma non stava cercando di affermare la propria identità islamica, come oggi. Le donne non indossavano il velo, nessuno chiedeva cibo halal nelle scuole, pochi andavano in moschea. Per questo, se osservo il Belgio oggi, sono molto pessimista. Forse è troppo tardi”.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.