Il Dalai Lama (foto LaPresse)

Il Dalai Obama

Redazione
Come si fa a diventare amici dell’Isis?, chiede l’intervistatore. “Con il dialogo. Bisogna ascoltare, capire, avere comunque rispetto dell’altro. Non c’è altra strada”. Potrebbe sembrare la risposta di uno di quei populisti mainstream che abitano perfino il nostro Parlamento. E invece no.

Come si fa a diventare amici dell’Isis?, chiede l’intervistatore. “Con il dialogo. Bisogna ascoltare, capire, avere comunque rispetto dell’altro. Non c’è altra strada”. Potrebbe sembrare la risposta di uno di quei populisti mainstream che abitano perfino il nostro Parlamento. E invece no. L’intervistatore insiste: “L’Isis taglia le teste. Senza la testa, non ci sono più le orecchie per ascoltare”. “Bisogna farlo con il cuore”. Il colloquio pubblicato ieri dalla Stampa tra Paolo Crecchi e la massima autorità del buddismo tibetano, Sua Santità il Dalai Lama, merita un’analisi che vada oltre la semplice derubricazione delle risposte a vaniloqui. Perché forse c’è qualcosa che non va. Tenzin Gyatso, quattordicesimo Dalai Lama, fa il suo lavoro. Fa ciò che ci si aspetta da un premio Nobel per la pace: rifiuta la guerra (e Obama ne sa qualcosa). Eppure non è questa sua ultima intervista a insospettirci. E’ già da qualche tempo che nelle sue parole umilmente si scorgono alcune contraddizioni mica da poco. Le ha rimesse insieme anche il New York Times, domenica scorsa, in un lungo articolo in prima pagina: “L’ultimo Dalai Lama?”.

 

Per quasi tutti gli ottant’anni della sua vita, scrive Pankaj Mishra, Tenzin Gyatso “si è inserito in quella strana intersezione tra religione, intrattenimento e geopolitica”. E’ una rockstar, un’icona internazionale, soprattutto dopo il 2001, quando le questioni tibetane hanno lentamente lasciato il centro della scena mondiale. Il Dalai Lama rivendica la sua amicizia con George W. Bush, è stato testimonial del “think different” di Apple negli anni Novanta in un trionfo di net-capitalismo. La scorsa primavera, a Princeton, ha risposto a uno studente che gli chiedeva quale fosse la chiave della felicità: “I soldi! Il sesso!”. Risate. Ripete spesso che il prossimo Dalai Lama dovrebbe essere eletto democraticamente, forse una donna, “e possibilmente più bella di me!”. Addio reincarnazione. Se qualcuno dice che il Dalai Lama ha poteri miracolosi, lui risponde: “Sono un uomo come tutti gli altri. Fossi un dio vivente, perché non potrei curare il mio dolore al ginocchio?”. Ecco. E’ possibile che la massima autorità spirituale del buddismo tibetano, in questo momento, stia ridendo di noi. Stia ridendo della nostra incapacità di capire la Verità, oltre ciò che sentiamo. Perché se così non fosse, beh, sarebbe difficile da digerire.

Di più su questi argomenti: