Perché i boots on the ground dell'occidente restano essenziali

Eugenio Cau
La coalizione deve fornire almeno supporto strategico a terra, dice il generale Camporini. Il ruolo essenziale della Russia di Putin: “Dal punto di vista militare un’operazione per sconfiggere Daesh non è complicata, ma serve uno sforzo superiore a quello usato fino ad adesso".

Roma. Il problema non è tanto l’azione quanto la volontà di agire. “Dal punto di vista militare un’operazione per sconfiggere Daesh non è complicata, ma serve uno sforzo superiore a quello usato fino ad adesso. La coalizione internazionale a guida americana è in grado di farlo, il problema è se lo vuole”. Il generale Vincenzo Camporini usa l’acronimo arabo Daesh per definire lo Stato islamico, considerato un dispregiativo dai gruppi terroristici. Ex capo di stato maggiore della Difesa e oggi vicepresidente dello Iai, Istituto affari internazionali, Camporini è convinto che il gruppo di al Baghdadi sia un nemico decisamente alla portata degli eserciti occidentali, a patto che qualcuno si decida a impiegarli. “Fino a oggi la coalizione a guida americana che è stata messa in piedi oltre un anno fa per combattere Daesh ha operato in un modo assolutamente simbolico”, dice al Foglio Camporini. “In pratica è un’operazione a uso e consumo dell’opinione pubblica interna americana. Per vincere Daesh serve altro”.

 

Camporini ricorda che le operazioni della coalizione hanno comportato “una media di 10-12 sortite aeree giornaliere, in un teatro operativo, quello tra Iraq e Siria, che è più grande di Italia e Germania messe assieme. Durante la guerra nel Kosovo del 1999 le sortite aeree erano centinaia ogni giorno”. Allora cosa serve per annientare Daesh, e non per il suo mero “contenimento”, come detto dal presidente americano Obama? I “boots on the ground”, ovviamente. Camporini lo dice senza l’esitazione dei politici europei, con la naturalezza del militare che sa che una guerra non si vince solo dall’alto. Ma poi specifica: “La maggioranza di queste truppe non deve essere necessariamente occidentale. Esistono già soldati sul campo che si oppongono a Daesh e sulle quali possiamo fare affidamento. Ma le forze sul campo hanno bisogno di un supporto strategico superiore, di una coalizione decisa, per esempio, a imporre un vero dominio dell’aria. Quando si opera con il dominio dell’aria è necessario che sul terreno ci sia una struttura che consenta di identificare gli obiettivi e di dirigere le bombe su di essi. Questo possono farlo i nostri nuclei di ricognizione e designazione, ma insegnarlo alle truppe locali richiede tempo. Per questo servono i boots on the ground occidentali, almeno dal punto di vista del supporto strategico”. Per Camporini una coalizione di forze locali per combattere lo Stato islamico deve partire dai peshmerga curdi e dovrà inoltre riconoscere un qualche ruolo all’Iran, e dunque alle milizie  sciite che operano attualmente in territorio iracheno, in coordinamento con l’esercito di Baghdad. Ma alla fine si torna sempre lì: “Qualcuno dovrà metterci qualcosa di nostro”, dice Camporini, ritornando sempre sullo stesso tema: senza gli stivali occidentali dal pantano del Daesh non si può uscire. “Io non sono a favore o contro i boots on the ground”, specifica. “Ma questo è ciò che serve per sconfiggere Daesh sul campo”.

 

[**Video_box_2**]Poi c’è la Russia. “Serve un accordo tattico con Mosca”, dice Camporini, “e questo che ci piaccia o no è fondamentale. Ma gli obiettivi della Russia divergono da quelli dell’occidente”. Per il generale il problema è il destino di Bashar el Assad, il dittatore siriano sulla cui dipartita si sono sempre infrante tutte le possibilità di trovare un accordo comune. Dopo gli attentati di Parigi, il presidente francese François Hollande ha parzialmente rivisto la sua posizione contro Assad per concentrarsi sulla distruzione dello Stato islamico, e per Camporini i leader della coalizione dovrebbero fare lo stesso calcolo: “E’ prioritario sconfiggere Daesh o sconfiggere Assad?”, chiede. “Un’analisi razionale impone che la priorità sia la distruzione di Daesh, e dunque rende necessario un accordo. In Siria deve essere definito un nuovo quadro politico che preveda una tregua nella lotta interna tra i ribelli e il governo di Damasco con l’impegno che questa tregua duri fino alla distruzione di Daesh. Solo allora si potrà pensare a una soluzione della guerra civile siriana, sia essa politica o militare”. Ma la Russia non deve essere inserita solo in un accordo politico, anche tattico. Che in parte, ricorda Camporini, già esiste: “Siamo già testimoni di una coordinazione tra la Russia e i paesi occidentali per evitare interferenze nei bombardamenti. Su questa base si può approfondire nella coordinazione delle operazioni militari fino ad arrivare a una gestione unitaria delle operazioni in modo da massimizzare il risultato definendo l’obiettivo in maniera congiunta. Un comando unitario tra Russia e occidente sarebbe l’opzione ideale, ma anche una coordinazione degli sforzi che comporti una divisione dei compiti può servire allo scopo”. Il problema per Camporini è ancora la volontà politica. Perché sul campo, “Daesh non rappresenta un problema per un esercito moderno”. Quanto tempo servirebbe per scacciare il gruppo terroristico una volta messa in piedi una vera coalizione? “Quindici giorni”, dice il generale.
Twitter @eugenio_cau

Di più su questi argomenti:
  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.