Forze speciali si imbarcano su un elicottero Chinook americano in Afghanistan

Chi mette gli anfibi

Daniele Raineri
In che senso, in Siria, un gruppo di commandos americani è pericoloso alle porte di Raqqa. La carta curda

Roma. Eppure tre giorni fa lo speaker del Consiglio federale russo, Valentina Matviyenko, aveva avvertito: “Se gli Stati Uniti cominciassero operazioni di terra in Siria, sarebbe una violazione grossolana della legge internazionale”. Va proprio così: ieri la Casa Bianca ha annunciato l’invio in Siria dei primi anfibi occidentali sul terreno per combattere contro lo Stato islamico – “un po’ meno di 50” soldati americani delle Forze speciali. Con scelta precisa dei tempi, Washington ha sincronizzato l’annuncio con un incontro della diplomazia internazionale a Vienna sulla Siria, in modo da massimizzare l’effetto politico sugli interlocutori e antagonisti  – che sono la Russia e l’Iran.

 

In teoria le Forze speciali americane non vanno a combattere ma hanno un incarico definito come “advise and assist”, quindi coordinano da vicino i bombardamenti dei jet americani (in gergo si dice: sono Jtacs) e così accorciano di molto i tempi attuali tra la chiamata da terra e l’arrivo dei bombardieri. Portano con loro anche comunicazioni sicure – meglio delle radio che tutte le fazioni si origliano a vicenda – e faranno arrivare ai combattenti sul campo altre armi più sofisticate. In pratica, però, è già chiaro da adesso che potranno trovarsi a combattere “data la vicinanza con lo Stato islamico”, scrive il Wall Street Journal. Del resto succede alle Forze speciali americane già presenti in Iraq, che hanno le stesse regole di ingaggio e la settimana scorsa un uomo della Delta Force è morto durante un raid per liberare ostaggi in mano ai terroristi. L’analista militare del Washington Post scrive che i commandos americani sono molto più letali nel ruolo di assistenti e di puntatori per i jet piuttosto che in combattimento in un ruolo convenzionale.

 

Per prima cosa i soldati americani in Siria, divisi in due unità, valuteranno la situazione e stabiliranno contatti con le forze locali. Non è stato specificato dove andranno, ma è quasi certo che saranno inviati a operare assieme ai curdi e ai reparti dell’Fsa (l’esercito siriano libero) che combattono a est, tra il confine turco e Raqqa, capitale dello Stato islamico. Quindi partecipano a quella campagna militare cominciata a gennaio quando – anche grazie agli strike americani – i combattenti curdi del cantone di Kobane hanno rotto l’assedio dell’esercito di Abu Bakr al Baghdadi e hanno cominciato a spingere verso sud, con lentezza, villaggio dopo villaggio, fino ad arrivare a circa venticinque chilometri da Raqqa. Per quanto trascurata dai media internazionali, questa avanzata verso il cuore dello Stato islamico è l’unica offensiva che minaccia davvero il gruppo jihadista in Siria ed è anche vicina al confine con l’Iraq e a Mosul, l’altra capitale dello Stato islamico.

 

[**Video_box_2**]Questo arrivo sul campo delle Forze speciali americane in realtà non è del tutto una novità, perché da mesi circolano rumors sulla loro presenza, ma è un distacco netto dalla politica più volte ripetuta dal presidente Obama del “no boots on the ground” in Siria. Inoltre vale anche come dichiarazione politica: i militari americani combatteranno assieme anche a gruppi dell’Fsa, l’esercito siriano libero – mentre trecento chilometri più a ovest e lontano da questo affondo contro lo Stato islamico gli aerei russi bombardano senza molti risultati altri gruppi dell’Fsa addestrati dagli americani.

 

I combattenti curdi non possono dare da soli l’assalto a Raqqa, perché è una città a maggioranza araba e il loro intervento può provocare tensioni controproducenti; i sei gruppi Fsa del posto (riuniti ora sotto il nome di: Siriani arabi e democratici) non possono fare la guerra da soli. Assieme con i consiglieri militari americani, tuttavia, curdi e arabi sono nel posto giusto e hanno il potenziale per infliggere danni gravi allo Stato islamico. In conferenza stampa, il portavoce della Casa Bianca ha detto che “il presidente si aspetta che i commandos abbiano un impatto e che aiutino le forze locali a portare la guerra contro lo Stato islamico dentro il loro stesso territorio”. Per questo, il Pentagono sta spostando aerei A-10 Warthog e jet F-15 nella base aerea di Incirlik, nel sud della Turchia; sono velivoli specializzati nell’appoggio ravvicinato alle truppe a terra e saranno più vicini a dove è necessario. E nel frattempo a Erbil, nel nord dell’Iraq, altri sessanta uomini delle Forze speciali americane raggiungono la Delta Force che opera in quell’area da un anno.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)