Il presidente americano Barack Obama (foto LaPresse)

Circo militare-diplomatico

Obama invia l'esercito dei “meno di cinquanta” per spezzare le reni a Is

Giravolte sui “boots on the ground”. La Casa Bianca giura che la strategia non cambia, e intanto cambia idea su Assad

New York. Gli Stati Uniti manderanno “meno di cinquanta” soldati delle forze speciali in Siria, con lo scopo di “addestrare, consigliare e assistere” le forze dell’opposizione allo Stato islamico, stanziamento speculare a quello già fatto nel nord dell’Iraq, dove le relazioni militari si stanno intensificando. Barack Obama ha anche autorizzato lo stanziamento di elicotteri e caccia nella base turca di Incirlik. I servizi di sicurezza americani hanno già fatto diverse operazioni clandestine in Siria, ma la decisione di Obama introduce de facto i “boots on the ground” americani in una guerra per la quale “non c’è una soluzione militare”, come da ritornello obamiano. Il presidente lo ha ripetuto fino allo sfinimento e il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest, lo ha ripetuto anche ieri, spiegando che la manovra serve per “intensificare la strategia con cui abbiamo iniziato”.

 

Com’è costume dell’Amministrazione, la notizia è stata diffusa da funzionari a un gruppo di giornalisti non ostili, ma non è stata seguita da un annuncio del presidente proprio per non alimentare l’impressione che l’invio dei “meno di cinquanta” sia un cambio di strategia. “Non è un game changer”, ha detto Earnest, che ha parlato di “sostenere” e “intensificare” gli sforzi degli alleati sul campo ma ha negato il ruolo “combat” delle Forze speciali. E’ un crinale scivoloso fra l’ufficiale e l’ufficioso: le truppe rimarranno sul campo “a lungo termine”, ma non “in modo permanente”, faranno “da moltiplicatore” per le forze d’opposizione moderate ma non combatteranno, anche se sono autorizzate a rispondere al fuoco nemico. Un’ambigua prudenza di linguaggio tesa ad allontanare le immagini di una guerra sul terreno, ma senza dare l’impressione che l’America lasci campo all’iniziativa russa.

 

Da settimane Obama ha sulla scrivania alcune opzioni “creative” presentate dal team della Sicurezza nazionale per cambiare l’inerzia della guerra, e l’invio di Forze speciali sembra quella scelta da Obama. Un modesto incremento militare che s’intreccia con il lavorìo diplomatico che ha portato alla Conferenza di Vienna, dove è stato invitato anche l’Iran. Qualche giorno fa la Russia ha detto che l’intervento militare dell’America sul terreno siriano violerebbe le leggi internazionali, e l’annuncio di Washington ha l’aria di un messaggio lanciato a Mosca, che sta concentrando i suoi sforzi militari sui ribelli che i “meno di cinquanta” andranno a sostenere.

 

[**Video_box_2**]A questo si aggiunge un importante cambio di linea sul destino di Bashar el Assad. Dopo anni a dire che il rovesciamento del tiranno è la condizione per qualunque trattativa, ora l’Amministrazione non esclude una transizione graduale, che “inizia magari con Assad, ma non finisce con lui al potere”, come ha detto il consigliere per la Sicurezza nazionale, Susan Rice. A Vienna, scrive il Wall Street Journal, il “gap fra Russia e Stati Uniti si sta assottigliando” e il nodo gordiano è il ruolo di Assad. L’ingresso della Russia sta costringendo gli Stati Uniti a rivedere una strategia che si basava su due princìpi: niente truppe sul campo e Assad fuori da Damasco. Il primo è stato forzato con la manovra dei “meno di cinquanta”, il secondo lo sta aggirando la diplomazia. Giovedì il capo dell’Intelligence americana, James Clapper, è diventato l’ennesimo funzionario a dire che Vladimir Putin è un leader che “improvvisa” e “non ha una strategia di lungo termine”; il giorno dopo la Casa Bianca ha ammesso nei fatti di avere una strategia, ma di non poterla mettere in pratica. Così deve accodarsi all’efficace improvvisazione di Putin.