Abdel Fattah al Sisi con Vladimir Putin (foto LaPresse)

Sisi alle prese con gli attentatori del Sinai

Luca Gambardella
La commissione d'inchiesta russa dice che l'A321 abbattuto in Egitto è opera di un attentato terroristico. Il Cairo resta prudente. La guerra allo Stato islamico e il fascino di Putin
L’aereo di linea A321 della compagnia russa Metrojet precipitato in Sinai lo scorso 31 ottobre è esploso perché al suo interno è stato introdotto dell’esplosivo. Alexander Bortnikov, capo dei servizi di sicurezza russi, lo ha comunicato oggi al presidente Vladimir Putin, che ha subito dichiarato che “troverà e punirà” i responsabili dell’attacco terroristico che ha causato la morte dei 224 passeggeri, in maggioranza russi. Putin ha promesso anche una ricompensa di 50 milioni di dollari a chiunque fornirà indizi sui colpevoli della strage: “Li troveremo, ovunque si siano nascosti”, ha detto. Secondo gli esperti russi, almeno un chilogrammo di Tnt è stato imbarcato a bordo prima del decollo e ha causato un’esplosione in volo: un’ipotesi che spiega perché i pezzi della fusoliera ritrovati fossero sparsi su un’area tanto estesa. I risultati della commissione d’inchiesta russa non hanno trovato conferme in Egitto dove le autorità, ancora oggi, continuano a sostenere “la mancanza di prove a sostegno della tesi terroristica”. L’impressione è che nel disastro del volo russo, l’Egitto abbia messo in gioco buona parte della propria credibilità. Poche ore dopo l’annuncio di Mosca sugli esiti dell’inchiesta, le autorità dell’aviazione civile egiziana hanno aumentato il livello d’allerta negli aeroporti nazionali mentre qualunque informazione sull’attentato è contingentata. Le abitazioni dei giornalisti basati in Sinai sono state perquisite e la televisione di stato ha detto che le uniche notizie che possono essere diffuse sono quelle comunicate dalla commissione di inchiesta egiziana. 

 

“Credetemi, la situazione nel Sinai è sotto il nostro pieno controllo”, aveva commentato il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi all’indomani della strage del Metrojet. Le autorità del Cairo tentano da giorni di minimizzare la natura della tragedia per evitare pericolosi danni all’immagine del paese che potrebbero penalizzare l’industria del turismo su cui si basa buona parte dell’economia nazionale. Martedì, una giornalista della tv di stato ha detto che se anche si dovesse scoprire che gli estremisti islamici hanno abbattuto l’aereo bisognerebbe chiedersi: “Chi ha portato i terroristi in medio oriente? Non sono stati forse gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Turchia?”. L’Egitto resta un perno della strategia internazionale di lotta all’estremismo nella regione, soprattutto in Libia, ma il paese è sempre più attratto dal decisionismo russo contro il terrorismo islamico, piuttosto che dalla prudenza obamiana. In un lungo editoriale  del giornale filo governativo al Ahram, Ahmed el Sayyed el Naggar ha scritto: “Dobbiamo capire chi sono i nostri veri amici. Basta guardare al passato, al tradimento dell’aggressione tripartita del 1956 o alla guerra difensiva del 1973”, ha scritto Naggar riferendosi a Regno Unito, Francia e Israele. “La Russia è la punta di lancia contro il terrorismo e va sostenuta”, è il corollario dell’articolo. Dopo gli attentati di Parigi, Sisi ha espresso la sua solidarietà alla Francia e ha offerto il suo sostegno alla lotta al terrorismo. La speranza del presidente è che “finalmente i governi occidentali cambieranno i loro rapporti con i salafiti e i Fratelli musulmani dopo gli attentati di Parigi”, ha scritto al Wafd, uno dei quotidiani più diffusi in Egitto. “Non solo la Francia ma anche altri paesi europei cambieranno atteggiamento verso i partiti islamici”. Sisi si aspetta che l’occidente cambi rotta e cominci ad apprezzare i suoi sforzi nella lotta al terrorismo.

 

[**Video_box_2**]Nel Sinai, gli attacchi dei terroristi islamici sono saliti a 356 quest’anno, dieci volte in più rispetto al 2012. “La controffensiva dell’esercito non vedrà un cambiamento di strategia per il momento”, dice al Foglio Tewfik Aclimandos, membro del Comitato scientifico della Fondazione Oasis. “L’esercito sa dove si trovano i jihadisti nel Sinai e ha lanciato diversi attacchi mettendoli in difficoltà, chiudendo i loro canali di rifornimento per le armi con Gaza”. Quattro grandi operazioni militari sono state lanciate negli ultimi tre anni nella penisola causando la morte di 3 mila persone solo nel 2015. L’Operazione del Martire, l’ultima in ordine di tempo, ha portato all’uccisione di 500 combattenti islamici, secondo fonti militari egiziane non verificabili da media indipendenti (secondo gli analisti di Jane’s Defence, che citano fonti israeliane, i combattenti islamisti nel Sinai non sono più di mille). L’uso indiscriminato della violenza da parte dell’esercito rischia però di spingere molti residenti a unirsi ad Ansar Bayt al Maqdis, l’ala egiziana dello Stato islamico. E’ già successo con le comunità beduine più povere, che oggi compongono buona parte dei ranghi del gruppo armato, finora militarmente meno efficace rispetto a quelli attivi in Siria e Iraq. “L’esercito fa progressi ma deve stare attento a conquistare i cuori e le menti dei residenti”, spiega Aclimandos. “Se si vuole prestare maggiore attenzione all’incolumità dei civili allora bisogna mettere in conto che sradicare i jihadisti impiegherà molto tempo”. Lo scorso primo luglio lo Stato islamico aveva conquistato per un breve periodo Sheikh Zuweid, la seconda città del Sinai settentrionale, liberata solo grazie ai bombardamenti dell’aeronautica egiziana. “Già quell’episodio dimostrava che gli islamisti avevano impiegato tecniche di combattimento più evolute, probabilmente acquisite su altri campi di battaglia, come l’Iraq”, ha detto all’Economist Muhammad Gomaa, analista del centro di studi strategici al Ahram. Il successo mediatico derivato dall’abbattimento del volo russo nel Sinai potrebbe ora garantire alla frangia egiziana dello Stato islamico nuovi fondi e armi provenienti dal comando centrale siriano. “E’ evidente che qualcosa è andato storto nell’offensiva dell’esercito ma l’abbattimento dell’aereo russo non significa che lo Stato islamico abbia guadagnato terreno in Sinai”, dice Aclimandos. Intanto la minaccia terroristica nel Sinai ha già colpito l’industria del turismo, che nell’ultimo anno ha riportato perdite pari a 7,8 miliardi di dollari, il 40 per cento in meno rispetto all’ultimo anno di governo di Hosni Mubarak. “Ma nonostante le difficoltà economiche – conclude Aclimandos – il popolo egiziano continua ad avere fiducia nell’esercito”.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.