Papa Francesco (foto LaPresse)

Liberal a chi?

Il Papa che educa più con i gesti che con i discorsi ha punteggiato la sua visita in America di riferimenti alla questione infiammata della libertà religiosa, declassati dai più accesi sostenitori papali al rango di comparse minori in una scena dominata da più concilianti protagonisti.

New York. Il Papa che educa più con i gesti che con i discorsi ha punteggiato la sua visita in America di riferimenti alla questione infiammata della libertà religiosa, declassati dai più accesi sostenitori papali al rango di comparse minori in una scena dominata da più concilianti protagonisti: povertà, migranti, ambiente.

 

Per convincere chi voleva leggere il viaggio di Francesco come il funerale della chiesa in battaglia, quella delle culture war care ai vescovi americani, non è bastato l’attacco alla “tirannia” moderna che riduce il cattolicesimo a “sottocultura” senza diritti d’espressione nello spazio pubblico, fatto davanti alla sala in cui è stata firmata la Dichiarazione d’indipendenza. Non è bastato aver fatto partire l’intervento alla Casa Bianca proprio da quel punto. Non è bastata la visita alle piccole sorelle dei poveri, che lottano contro l’Amministrazione Obama per non essere costrette a violare la propria coscienza. Non è bastata nemmeno la risposta inequivocabile a una domanda diretta durante il volo di ritorno, quando il Papa ha dichiarato che l’obiezione di coscienza è un “diritto umano”, e chi “non permette di esercitare l’obiezione di coscienza, nega un diritto”, anche se si tratta di un funzionario di governo nell’esercizio delle sue funzioni. Il nome di Kim Davis sull’aereo non è stato pronunciato, ma aleggiava, e alla fine è venuto fuori che il Papa che educa più con i gesti che con le parole, il gesto che supera tutti quanti a destra lo aveva già fatto. A Washington aveva incontrato Kim Davis, l’inserviente del tribunale di una contea del Kentucky che è diventata il simbolo della della lotta per la libertà religiosa per essersi rifiutata di firmare certificati di matrimonio per le coppie omosessuali.

 

[**Video_box_2**]E’ stata arrestata e messa in carcere per cinque giorni, poi è stata rimessa in libertà e ha continuato a rifiutarsi di firmare le licenze matrimoniali, lasciando l’incombenza ai suoi sottoposti. All’incontro, confermato dagli avvocati di Davis e svelato per primo dal sito Inside the Vatican, il Papa ha abbracciato lei e suo marito, Joe, dicendole di “tenere duro”, infine le ha chiesto di pregare per lui. “E anche lei preghi per me, Santo Padre”, le ha risposto Davis, che appartiene alla chiesa apostolica. La Sala stampa vaticana non ha smentito l’incontro, una conferma indiretta per chi non commenta in nessuna forma gli incontri privati del Papa, che certamente è stato tenuto segreto durante la visita per evitare le strumentalizzazioni politiche che si annidavano dietro ogni angolo. Il parlare cauto, scaltro, del Papa davanti a un Congresso che non vedeva l’ora di distorcerlo e tirarlo dalla propria parte, è una testimonianza efficace dell’atteggiamento di Francesco quando si muove nello spazio pubblico. Difficile, in questo contesto, sminuire la portata simbolica e politica dell’incontro con Davis. Se quello con le suore in battaglia era nel perimetro delle visite religiose, questo equivale, con il linguaggio e le modalità felpate della chiesa, a uno schiaffo alla Corte suprema e all’ordinamento civile americano, che da ogni parte tenta di ridurre la libertà di religione alla mera libertà di culto, limitando l’impatto che la fede ha sulle istituzioni educative e sociali. I vescovi americani queste cose le hanno ben presenti. Giusto ieri Oscar Cantù, vescovo di Las Cruces e capo della commissione sulla Giustizia internazionale e la pace, ha chiesto al Congresso di autorizzare i fondi per tenere viva la commissione per la Libertà religiosa a Capitol Hill, che rischia di essere falciata via nella disputa sul budget. Dopo la notizia della visita, l’Economist ha reiterato il punto: “E’ un Papa più impegnato con le complessità e i dilemmi della modernità dei suoi recenti predecessori, ma questo non fa di lui un liberal”, e certamente un liberal non dà il suo incoraggiamento a chi si ribella all’ordinamento liberale in nome della sua fede. Certo, la disputa sulla libertà religiosa non è perfettamente assimilabile alle altre battaglie della guerra culturale. Forse non fa nemmeno parte a pieno titolo di quella vicenda, perché qui non si tratta di introdurre (o combattere) leggi in linea con la dottrina, ma di difendere il diritto della fede di esprimersi nello spazio pubblico. Dopo questo incontro sarà difficile sostenere che la libertà religiosa è in basso nell’agenda delle priorità di Francesco.