Perché in Venezuela il giornalismo può sopravvivere solo online

Maurizio Stefanini
Censure, querele e mancanza di carta. Così i periodici e i giornali del paese sono stati costretti a dirottare sul 2.0. E ora stanno proliferando.

In tutto il mondo la transizione dai media tradizionali su supporto cartaceo a quelli digitali è accelerata dall’evoluzione tecnologica. Ma il Venezuela si trova curiosamente all’avanguardia in questo processo per ragioni politiche. Come ha notato il Committee to Protect Journalists di New York è stato proprio per rispondere a querele e censure (e spesso anche la mancanza di carta), che i giornalisti venezuelani hanno iniziato a migrare in massa sulla rete. Il più importante scoop della storia venezuelana recente, la vicenda della malattia e della morte di Hugo Chávez, è stato diffuso online. Storica star della tv d’inchiesta venezuelana, Nelson Bocaranda aveva ottenuto le informazioni da una talpa vicina allo stesso presidente. Una notizia che nessuna stazione tv o giornale aveva avuto il coraggio di pubblicare, nemmeno El Universal, con cui collaborava. Bocaranda iniziò allora a pubblicare tutto sul suo sito web Runrunes registrato in Spagna. A quel punto le notizie rimbalzarono sulla stampa internazionale, i giornali venezuelani dovettero citarle e finì per doverle confermare lo stesso governo.

 

Una delle tappe dell’involuzione autoritaria del regime venezuelano fu nel 2007, quando allo scadere della concessione il canale televisivo Rctv si vide negare il rinnovo della licenza. Adottato il nuovo nome di Rctv Internacional, migrò sul satellite, ma anch’esso nel 2010 fu chiuso d’autorità, per essersi rifiutato di trasmettere i messaggi ufficiali del governo e dal 2013 funziona dunque dal web. Venevisión evitò di fare la stessa fine attraverso un accordo sotto banco con cui il magnate Gustavo Cisneros, suo proprietario, rinunciò a criticare il governo. Globovisión dopo essere stata a sua volta perseguitata dalla censura è stata ceduta a un gruppo di investitori vicino al governo, e una sorte analoga hanno avuto i quotidiani El Universal e Ultimas Noticias. Mentre l’indomabile Tal Cual, per la mancanza di carta, è stato costretto a trasformarsi da quotidiano in settimanale. A ben 22 tra direttori e noti opinionisti è stato poi vietato da un tribunale di uscire dal paese in seguito a una denuncia per diffamazione avanzata dal presidente dell’Assemblea nazionale, Diosdado Cabello: avevano riportato dalla stampa internazionale la notizia che una ex-guardia del corpo di Chávez aveva accusato lo stesso Cabello di essere alla testa di un cartello di narcos

 

Per reazione, dunque, sono fioriti i siti web. A parte quelli già citati, Prodavinci, ad esempio, offre analisi di storici, scienziati e accademici. Poderopedia dà informazioni su nomenklatura e potenti. Armando fa giornalismo investigativo. Efecto Cocuyo si propone come versione venezuelana del sito di giornalismo investigativo indipendente americano ProPublica e si finanzia col crowdfunding.  La Patilla è un sito infornativo creato dal cofondatore di Globovisión, Alberto Ravell. Capriles Tv informa su Henrique Capriles Radonski, leader dell’opposizione e governatore dello Stato di Miranda. Da Miami trasmettono via Internet Ahoravisión e El Venezolano Tv. Il loro esempio ha spinto anche i filo-governativi a aprire siti come Contrapunto o Misión Verdad.

 

[**Video_box_2**]Insomma, ha spiegato l’anno scorso a un seminario presso il Knight Center for Journalism in the Americas Luis Carlos Díaz, giornalista e esperto di nuovi media, “altri paesi parlano della transizione dalla stampa a internet come di un processo evolutivo. In Venezuela lo abbiano fatto attraverso la crisi, attraverso il trauma. Il giornalismo si è spostato on line perché era l’ultimo posto dove poteva sopravvivere”. 

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