Promesse da Labour

Paola Peduzzi
Ed Miliband presenta il manifesto del partito e nel suo contratto con gli inglesi riscopre il valore dell’austerità (con molta flessibilità)

Milano. Ed Miliband è tornato ieri a Manchester dove, sei mesi fa, alla conferenza di partito, aveva tenuto forse il più brutto discorso della sua carriera – si era “dimenticato” di parlare di deficit – e ha lanciato il manifesto elettorale del Labour. Nel Regno Unito si vota il 7 maggio, i sondaggi registrano un testa a testa tra laburisti e conservatori che non si sblocca, e questa, che è la settimana dei programmi (oggi tocca ai Tory), dovrebbe segnare una svolta, almeno nelle intenzioni, nella campagna elettorale. Miliband ha deciso di abbandonare la sua politica del “tutto tranne i Tory”, incentrata sul piagnisteo anti austerità invero poco efficace in un paese in cui l’austerità ha avuto effetti benefici incontestabili, e si è riposizionato con un “Budget Responsibility Lock”, un contratto con gli inglesi, che garantisce che ogni politica proposta dal Labour avrà una copertura, e non necessiterà di un aumento del deficit. Anzi, il governo laburista, se mai ci sarà, taglierà il deficit ogni anno, ridurrà il rapporto debito/pil, e otterrà un surplus “il prima possibile nella prossima legislatura”. George Eaton ha raccontato sul sito della rivista New Statesman che un collaboratore di Miliband gli ha detto: “Possiamo essere il partito della responsabilità quanto il partito del cambiamento”, un modo per rassicurare gli elettori senza stravolgere i conti britannici, “la promessa di austerità – scrive Eaton – è pensata in contrasto con i manifesti precedenti, che erano dominati da impegni di spesa”. Nella sinistra del partito ci sono stati degli svenimenti – è un manifesto conservatore! – ma l’obiettivo tattico di Miliband è, dicono i suoi, “accentuare le positività e neutralizzare le negatività”, e trovare i soldi per rispettare gli impegni è un buon inizio.

 

In realtà gli obiettivi fissati dal cancelliere dello Scacchiere conservatore, George Osborne, sono più stringenti: i Tory vogliono sradicare il deficit entro il 2018-’19 e ottenere un surplus già alla fine della prossima legislatura, ma il principio che ispira Miliband è certo più vicino alla tanto vituperata austerità di quel che il candidato premier ha detto fino adesso. Al grido “saremo più fiscalmente responsabili anche di Gordon Brown e Tony Blair”, padrini non sempre amati del Labour, Miliband ha detto che aumenterà il salario minimo oltre 8 sterline l’ora entro le prossime elezioni, che insisterà sulla tassazione dei redditi più elevati (sarà reintrodotta la soglia massima del 50 per cento di tasse, in più ci saranno imposte per le case oltre un certo valore di mercato, saranno aboliti i privilegi per i non-dom, i residenti all’estero, e sarà ristabilita la Corporation tax ridotta dai Tory) e che investirà nel Sistema sanitario nazionale, recuperando fondi dalla caccia agli evasori e dall’aumento delle tasse, senza aumentare il deficit.

 

[**Video_box_2**]Il tono di Miliband era ieri molto più fiducioso del solito – “il discorso migliore che gli ho mai sentito fare”, ha sentenziato Nick Robinson della Bbc – indispensabile per cercare di rincorrere i conservatori sui temi economici, sui quali, nella percezione degli elettori, hanno una credibilità di 20 punti percentuali più alta rispetto ai laburisti. Il messaggio positivo – “un piano migliore, un futuro migliore” recitava la scritta sul palco, sempre inquadrata assieme a Miliband – ha raccolto nel Labour, a parte i più radicali, molti entusiasmi, anche se in realtà gli attacchi dell’opposizione, nel pomeriggio, si sono fatti sentire. A parte il sondaggio Guardian/Icm pubblicato subito dopo il discorso, che dà i Tory avanti di ben sei punti rispetto al Labour, il più duro è stato Paul Johnson, direttore dell’Institute for Fiscal Studies, centro studi indipendente, che ha detto che il margine di manovra che si è lasciato Miliband – taglieremo qualcosa, vedremo che cosa e quando (i Tory dicono che taglieranno in tre anni 18 miliardi di sterline) – in realtà non spiega niente nemmeno della svolta austera del partito: “Se voti Labour oggi non sai a che cosa vai incontro”. Ancora più perfido è stato Nick Clegg, vicepremier liberaldemocratico in crollo nei sondaggi e nelle simpatie, in questi giorni pronto a colpire chiunque, dai suoi compagni di coalizione, i Tory, ai laburisti, che ha dichiarato: “Il Labour che dice di non avere piani di aumento del deficit è come un alcolista che consuma una bottiglia di vodka al giorno che dice di avere in programma di non bere più vodka”. Non proprio un abbraccio da parte di un partito affine, ma i conti con l’austerità, a sinistra, sono appena cominciati.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi