Barack Obama (foto LaPresse)

Non è una dottrina, è spin

Redazione
E chi può dirlo? L’Iran potrebbe anche cambiare”. Certo, escludere a priori l’eventualità non si può, ma per ventilare un’ipotesi del genere il leader del mondo libero dovrebbe avere non si dica qualche prova, ma almeno uno straccio d’indizio.

E chi può dirlo? L’Iran potrebbe anche cambiare”. Certo, escludere a priori l’eventualità non si può, ma per ventilare un’ipotesi del genere il leader del mondo libero dovrebbe avere non si dica qualche prova, ma almeno uno straccio d’indizio. A Barack Obama basta l’intesa provvisoria di Losanna, quella che lascia all’Iran i suoi diritti nucleari, come dicono raggianti le autorità della teocrazia di Teheran, per far girare la macchina dello spin. Dopo l’annuncio di giovedì il presidente ha dato un’intervista al columnist del New York Times Thomas Friedman, il quale gli ha posto domande intorno alla sua dottrina dialogante con i regimi con lo sguardo incerto di chi interroga la Sibilla: “We will engage, but we preserve all our capabilities”, ha detto lui.

 

Affrontiamo i problemi, ma manteniamo intatte le nostre capacità militari, una specie di “trust, but verify” in versione obamiana che si applica a quelli che lui degrada al rango di regimi minori, staterelli canaglia: Cuba è un innocuo ferro vecchio del totalitarismo, l’Iran in fondo ha “un budget per la difesa di 30 miliardi di dollari, il nostro è vicino ai 600 miliardi”. Che male volete che possano fare gli ayatollah? E magari tutto questo fiducioso confabulare diplomatico, questo “engage” a mano tesa e ben aperta, susciterà anche una svolta riformista di Khamenei e dei compagni della rivoluzione islamica. L’importante, dice Obama, è che questi avversari non minaccino gli interessi fondamentali dell’America: come se la libertà, i diritti, l’ordine liberale, i rapporti di amicizia con Israele, non fossero fra gli interessi fondamentali del leader del mondo libero.

 

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