Alcuni soldati in Kenya durante una pausa degli scontri nel Campus (foto LaPresse)

Kenya connection

Redazione
Commando islamista di Shabaab fa strage di studenti. Cristiani presi in ostaggio. Quel filo da seguire. Secondo l’Onu il numero di “foreign fighters” è il più alto di sempre. Le destinazioni del jihad.

Roma. Gli studenti dell’Università di Garissa, in Kenya, erano ancora a letto o sotto la doccia quando ieri i miliziani del gruppo terroristico somalo degli Shabaab sono entrati nel campus. I racconti fatti ai giornalisti locali dicono che l’università si è trasformata in un campo di combattimento quasi subito, gli Shabaab entravano nei dormitori e i proiettili volavano da tutte le parti, gli uomini urlavano e chiedevano dove sono gli infedeli?, alcuni testimoni dicono che hanno iniziato a dividere i cristiani dai musulmani e a giustiziare i cristiani sul posto, altri sono stati presi in ostaggio. Gli Shabaab si sono asserragliati nell’ateneo, e hanno iniziato uno scontro con l’esercito kenyano che è andato avanti fino a notte. Il bilancio delle vittime è ancora provvisorio, ieri sera il ministro dell’Interno kenyano ha detto che i morti sono almeno 147, i feriti decine, ma degli 815 studenti presenti nel campus al momento dell’attacco solo 533 erano stati messi al sicuro. Ma anche con questo bilancio provvisorio, nell’attacco contro l’Università di Garissa gli Shabaab hanno fatto oltre il doppio delle vittime dell’attacco al centro commerciale di Westgate, a Nairobi, nel 2013. Come allora, anche ieri il presidente kenyano Uhuru Kenyatta ha cercato di ridimensionare il massacro: il Kenya è un paese in cui l’industria del turismo è fortissima, gli Shabaab somali prendono di mira il paese proprio per alzare il loro profilo terroristico agli occhi dell’occidente, e Kenyatta non può permettersi che il Kenya sia considerato un luogo poco sicuro. Appena mercoledì il governo aveva smentito alcuni report dei governi occidentali sulla poca sicurezza nel paese.

 

Come nel 2013 a Westgate, ieri sono circolate voci secondo cui alcuni occidentali avrebbero partecipato all’attacco contro l’Università di Garissa. I rumor non hanno trovato conferma: il leader dell’attacco sarebbe un predicatore kenyano, Dulyadin Gamadhere, conosciuto anche come Mohamed Kuno, che fa parte degli Shabaab fin dalla nascita del gruppo, è il capo delle operazioni in Kenya e da tempo il governo ha messo sulla sua testa una taglia per diversi attacchi terroristici compiuti nel paese, compreso uno a novembre nella città di Mandera, che ha ucciso 28 passeggeri non musulmani su un autobus. Ma le voci di combattenti occidentali che partecipano agli attacchi terroristici degli Shabaab non sono del tutto irrazionali, già nel 2010 le autorità inglesi e americane dicevano che fanno parte del gruppo terroristico centinaia di cittadini inglesi e decine di americani e canadesi, e ieri, poco prima dell’attacco in Kenya, l’Onu pubblicava un report in cui si legge che il numero dei “foreign fighters”, i combattenti che lasciano i loro paesi per arruolarsi tra i movimenti islamisti, è “storicamente il più alto di sempre”.

 

[**Video_box_2**]Venticinquemila guerrieri da cento nazioni si sono arruolati con lo Stato islamico, con al Qaida, Boko Haram e tra gli Shabaab somali, e il numero dei “foreign fighters” è cresciuto del 71 per cento nell’ultimo anno. Così, c’è un legame tra gli studenti di Garissa e quelli delle scuole inglesi (e francesi, americane, turche), i cui presidi sono preoccupati perché sono tantissimi quelli a rischio di scappare dalle famiglie per andare a fare il jihad in Siria, in Libia e magari anche in Somalia. Secondo le autorità britanniche molti potrebbero usare la pausa di Pasqua per prendere un biglietto di sola andata per la Turchia, hub di aspiranti militanti dello Stato islamico. L’Iraq e la Siria, dice il report dell’Onu, rischiano di diventare “scuole di perfezionamento” per gli estremisti stranieri, e il prossimo campo di addestramento per terroristi – l’espansione dell’estremismo va di pari passo con l’espansione dei conflitti – potrebbe essere lo Yemen, dove i ribelli sciiti Houthi, sostenuti dall’Iran, ieri hanno conquistato il palazzo presidenziale della città costiera di Aden, ultimo centro di potere del presidente sunnita Abd Rabbu Mansour Hadi, nonostante i bombardamenti di una coalizione sunnita guidata dall’Arabia Saudita e sostenuta dall’America. In Yemen la guerra civile si sta trasformando in un conflitto settario, ieri ci sono stati almeno 44 morti, al Qaida nella penisola arabica e lo Stato islamico hanno già iniziato ad approfittare della situazione: nella città di Mukalla un commando di al Qaida ha attaccato un carcere e ha liberato centinaia di prigionieri, tra cui molti terroristi.

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