Editoriali
I dati Istat fotografano il miglior mercato del lavoro italiano degli ultimi trent'anni
Aumentano occupati e con contratti stabili, calano disoccupati e precari. Un colpo alla retorica disfattista e pessimista che troppo spesso affligge il dibattito del paese
L’Istat ha pubblicato i dati provvisori sull’occupazione disegnando un quadro molto più ottimistico rispetto alla retorica disfattista e pessimista che troppo spesso affligge il dibattito italiano sul mondo del lavoro, descritto come impossibile da creare, trovare, sempre più precario, povero, discriminatorio. Secondo le rilevazioni, a gennaio prosegue l’aumento del numero degli occupati che arriva a superare i 23 milioni e 300 mila. Rispetto a gennaio dell’anno scorso la crescita di 459 mila unità è caratterizzata quasi totalmente da dipendenti assunti in modo permanente (+464 mila) e in parte dagli autonomi (+42 mila), mentre il numero di contratti a termine è diminuito di quasi 47 mila unità. Per quanto riguarda le classi di età, il tasso di occupazione della fascia di età 15-64 anni sale al 60,8 per cento (+1,4), quello di disoccupazione scende al 7,9 per cento (-0,7) e quello di inattività al 33,9 per cento (-1,1). Per i giovani tra 15-24 anni, il tasso di disoccupazione scende di 2,5 punti arrivando al 22,9 per cento. Il tasso di occupazione cresce per tutte le fasce d’età, soprattutto tra 34 e 49 anni: +1,9 per cento.
Sono dati che fotografano il miglior mercato del lavoro italiano degli ultimi trent’anni, con il più alto numero di occupati da quando esistono le serie storiche, trainato – e questa è davvero un’ottima notizia – dall’occupazione femminile. Rispetto a dicembre il numero di donne occupate è aumentato di 30 mila unità (246 mila su base annua), portando il numero di donne occupate a 9 milioni e 870mila, il più alto dal 1977. Su base mensile aumentano i disoccupati (+33 mila), ma principalmente per una diminuzione degli inattivi (-83 mila): comunque un segnale di dinamismo. Rispetto all’anno scorso, infatti, i disoccupati sono calati (-143 mila) insieme agli inattivi (-478mila). Ciò significa che l’aumento dei disoccupati è legato alla quota di popolazione inattiva che smette di essere tale iniziando a cercare lavoro. Anche il tasso di inattività infatti è il più basso da quando esistono le serie storiche. I numeri sono positivi anche per quel che riguarda la stabilità dei contratti. Su base mensile il numero di occupati a tempo indeterminato aumenta di 64 mila unità, su base annua di 464 mila. Rispetto a gennaio dell’anno scorso i contratti a termine sono diminuiti di 47 mila unità, tornando sotto quota 3 milioni, mentre i contratti a tempo indeterminato sono oltre 15 milioni.
Secondo il presidente della Fondazione Adapt Francesco Seghezzi, il dato rafforza la tesi che l’aumento degli occupati sia in parte legato a riassorbimento dei lavoratori che erano in cassa integrazione. Tuttavia, i dati depurati dalla componente demografica mostrano una leggera predominanza degli under 35 tra i nuovi occupati. In sintesi, in Italia le persone occupate sono 23,3 milioni, le donne 9,9 milioni, i contratti a tempo indeterminato 15,3 milioni. Numeri che fanno parte di un trend positivo che ha portato l’Istat a registrare il più alto valore da quando esistono le serie storiche, cozzando contro la retorica dell’apocalisse. Il dato negativo è un leggero calo a gennaio rispetto a dicembre tra i giovani, portarli più rapidamente nella forza lavoro stabile dovrebbe essere l’obiettivo di ogni governo che persegue politiche di sviluppo economico e progresso sociale. Lo stesso vale per le donne e per il segmento di persone ancora inattive ma abili a entrare nel mercato del lavoro, in modo da portare l’Italia ai tassi di occupazione europei. Con il tasso di occupazione al 60,8 per cento l’Italia è ancora sotto la media dell’Unione europea (circa il 70 per cento), con Germania e Francia che a gennaio hanno registrato un tasso rispettivamente del 77 e del 68 per cento. Dati che rispecchiano la partecipazione della popolazione al mercato del lavoro, che in Italia è al 66 per cento (in crescita) mentre in Germania arriva al 79 per cento e in Francia al 73,6 per cento, con una media Ue del 74 per cento. Ma questo vuol dire anche che il mercato del lavoro italiano ha ancora molte forze da liberare.