I conti in tasca al Mef

Con dati così vecchi, l'indagine sul Superbonus è un'occasione persa

Luciano Capone

La Camera, dopo un anno, chiude l'inchiesta sui bonus edilizi. Ma il documento finale, con dati superati, è una fotografia già vecchia: sappiamo che il costo del Superbonus è almeno il doppio. Perché non chiedere al Mef i numeri aggiornati?

Il 28 febbraio 2023, la commissione Bilancio della Camera avviò una “Indagine conoscitiva sugli effetti macroeconomici e di finanza pubblica derivanti dagli incentivi fiscali in materia edilizia”. In sostanza, un approfondimento sui costi e sull’impatto del Superbonus e del suo fratello minore (ma comunque bello grosso) Bonus facciate. Nel corso dell’anno, la commissione ha fatto un buon lavoro che ha dato una fondamentale base di conoscenza sull’argomento, attraverso un lungo ciclo di audizioni che ha visto coinvolte sia le parti interessate (i costruttori dell’Ance, Cresme, Confindustria, Nomisma, Censis, Consiglio  dei commercialisti, Consiglio  degli ingegneri) sia le istituzioni pubbliche  (Ufficio parlamentare di bilancio, Cnel, Banca d’Italia, Enea, Corte dei conti, Agenzia delle entrate e Mef).

 

A distanza di oltre un anno, il lavoro della commissione è agli sgoccioli: come anticipato da Gianni Trovati sul Sole 24 Ore, è già pronta una bozza di relazione conclusiva che sintetizza le varie audizioni. Ad esempio, sull’impatto del Superbonus e del Bonus facciate si sostiene che “gli effetti positivi in termini di crescita economica e occupazionale non sono tali da controbilanciare gli effetti che si rilevano a carico della finanza pubblica”.

 

Per giunta, i pochi benefici sono ormai acquisiti, mentre per il futuro resta il conto da pagare: “Sussiste una discrasia temporale tra l’emersione degli effetti positivi delle misure in termini macroeconomici, che si determinano in misura assolutamente prevalente a ridosso della realizzazione degli interventi – c’è scritto – mentre gli effetti in termini di fabbisogno si riscontrano al momento della riduzione dei versamenti fiscali per tutti gli anni di applicazione delle detrazioni”.

 

Infine viene ripreso il problema – più volte sollevato su queste pagine – delle previsioni di spesa clamorosamente sbagliate: “Come osservato anche dal Ragioniere generale dello stato, appare quanto mai utile che, nel momento in cui si disciplinano interventi di rilevante portata per l’economia e la finanza pubblica, il legislatore possa giovarsi di una più approfondita analisi ex ante dell’impatto delle misure”. Una riflessione lapalissiana, dato che la corretta analisi d’impatto delle misure di spesa dovrebbe essere il lavoro ordinario della Ragioneria dello stato e non una sorprendente innovazione. 

 

Su queste conclusioni di massima non tutti sono d’accordo, il Pd ha presentato un documento molto elogiativo del bonus al 110 per cento. Per ora la chiusura dell’indagine è stata rinviata per ulteriori approfondimenti. Ma il problema fondamentale è un altro. Il documento della commissione è una fotografia vecchia, mostra una situazione abbondantemente superata. Nella valutazione dell’esborso sono riportati i dati forniti lo scorso maggio da Mef e Rgs che indicano per il Superbonus un costo di 67 miliardi di euro. Ma già sappiamo che quel dato, ormai, è stato doppiato. Il costo attuale viaggia oltre i 140 miliardi di euro, sebbene il Mef non si sia ancora degnato di fornire una cifra ufficiale dopo che l’Istat, il primo marzo, ha certificato che nel 2023 il deficit è stato superiore di oltre 40 miliardi di euro (l’1,9 per cento del pil) a causa dell’extraspesa imprevista del Superbonus.

 

Che senso ha chiudere l’indagine con dati largamente obsoleti? Sarebbe come scrivere la cronaca di una partita fermandosi al primo tempo. O come guidare un’auto guardando la strada solo attraverso lo specchietto retrovisore. È opportuno riaprire l’indagine quantomeno per ottenere dal Mef i dati aggiornati sulla spesa e le previsioni per il 2024 (per quanto possano valere le stime del Mef sul tema). Sarebbe anche l’occasione per il Parlamento e il paese di conoscere dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, i dati che finora non ha comunicato e che neppure l’opposizione – con l’eccezione di Italia viva – ha chiesto.

 

È vero che ci sono degli adempimenti burocratici per avviare un altro mini ciclo di audizioni, ma nessuno di essi è un ostacolo insormontabile. Soprattutto perché servirebbe a non rendere inutile e completamente superato il lavoro svolto finora.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali