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cortocircuiti sovranisti

Caro governo, la politica industriale e agricola si fa in Europa

Marco Leonardi

Finché si tratta di politiche pubbliche nella sfera del controllo nazionale, con un grande sforzo rispetto alle promesse elettorali, l'esecutivo ce la fa. Ma quando le leggi italiane non bastano più e ci vuole un’azione a più ampio raggio sullo scacchiere europeo ecco che iniziano i problemi

Il governo Meloni è riuscito a tenere in ordine i conti pubblici: grazie a una retromarcia sul Superbonus (che avevano tutti sostenuto) e riducendo al minimo storico il numero degli anticipi pensionistici rispetto ai criteri della legge Fornero, si è guadagnato la promozione dei mercati internazionali. Onore al merito, ma il problema più grande rimane il suo rapporto con l’Europa. Finché si tratta di politiche pubbliche nella sfera del controllo nazionale, con un grande sforzo  rispetto alle promesse elettorali, il governo ce la fa. Sembra invece non farcela  quando le leggi italiane non bastano più e ci vuole un’azione a più ampio raggio sullo scacchiere europeo. 

Ci sono  tre grandi temi di politica industriale che sono precipitati sul tavolo del governo: Intel, Ilva e Stellantis. Come è noto, Intel era in trattativa dai tempi del governo Draghi per uno stabilimento in Italia: dopo un anno, recentemente ha annunciato che non se ne fa niente. Sull’Ilva le cose sono complicate da anni ma la situazione è precipitata adesso e il governo Meloni non sembra in grado di governarla. Certo, dirà che la colpa è dei governi precedenti, ma tutti i governi ereditano situazioni difficili dai predecessori. Stellantis da anni è diventata una  multinazionale, ma lo scontro con il governo appare solo adesso: uno scontro che, se impostato sulle recriminazioni, il governo può solo perdere. Il punto è che Intel, Ilva (Mittal) e Stellantis sono tre grandi multinazionali che, piaccia o meno, possono essere condizionate solo dalle convenienze economiche e politiche internazionali. Ma il governo Meloni  non ragiona così, ragiona ancora con le categorie del sovranismo economico. Il problema è che non siamo più ai tempi in cui i semiconduttori non esistevano, l’acciaio veniva trattato sul mercato nazionale e la Fiat era un’azienda familiare italiana. Oggi  i semiconduttori, l’acciaio e le automobili sono mercati globali, dominati da grandi gruppi internazionali. Se vuoi giocare la partita, la devi giocare lì. 

L’inadeguatezza del governo si è vista anche sull’agricoltura, un campo su cui in teoria dovrebbe trovarsi molto più a suo agio. Oggi anche i prodotti agricoli hanno prezzi determinati sui mercati internazionali: infatti è ormai da più di 50 anni che la legislazione e gli aiuti all’agricoltura si sono spostati in Europa (la famosa Pac). Il problema dei piccoli agricoltori sta tutto nel cambiamento dei prezzi della materia prima (i prodotti agricoli) e della filiera. Nel 1970, per ogni 100 euro spesi in alimentari: 55 euro retribuivano la materia prima, 10 euro  l’industria agricola, 18 euro la commercializzazione, 8 euro il settore della ristorazione, 9 euro infine andavano ai prodotti importati. Nel 2022, 50 anni dopo, le importazioni nette si sono annullate ma solo 25 euro retribuiscono la materia prima (meno della metà!), 12 euro l’industria agricola, 44 euro i margini di commercializzazione, 19 euro la ristorazione. Quindi la Pac è riuscita nel suo intento di annullare le importazioni nette, ma dà un aiuto proporzionale agli ettari coltivati per cui ovviamente favorisce i grandi coltivatori. Diversamente che negli Stati Uniti, non sussidia le assicurazioni contro gli eventi avversi. Ecco, se si voglion aiutare i piccoli coltivatori bisogna agire lì, in Europa, semplicemente perché in Italia non ci sono più leve. Il governo ha esaurito le munizioni, perché per gli agricoltori in Italia si fa già tutto il possibile e anche l’impossibile (non fargli pagare l’Irpef). Invece il governo cosa ha fatto? Prima ha ripristinato l’Irpef agricola, poi ha fatto retromarcia mettendo, per ora,  una toppa alla rivolta. Ma di certo non ha risolto nulla. Ci sono rimaste di mezzo anche le associazioni di categoria che incautamente avevano avvallato (non l’avevano  fatto con nessun altro governo) la scelta dell’esecutivo di ripristinare l’Irpef. 

Anche nell’agricoltura i giochi si fanno in Europa, quel che si fa di diverso in Italia (come in altri paesi) rischia solo di creare delle situazioni paradossali, come vietare la coltivazione di  Ogm, che invece sono autorizzati in Spagna e Portogallo. Peraltro in Italia è autorizzato il consumo di mais e soia ogm ma non la coltivazione, risultato: importiamo ogni anno 2 miliardi di dollari di mais e soia ogm che nutrono le vacche con cui produciamo i nostri formaggi, ma che non possiamo coltivare nei nostri campi. Chissà se il governo vorrà discutere in Europa di politica agricola e industriale mettendo in comune nuovi fondi a debito come il Pnrr. Da come (non) ha  affrontato il tema agricoltura, da come ha abbracciato con ritrosia il Pnrr, da come (non) ha trattato sul Patto di stabilità e sul Mes,  pare proprio di no.

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