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gli scenari economici

Gli attacchi degli houthi creano incertezza, ma i mercati sono ancora calmi

Mariarosaria Marchesano

La crisi nel Mar Rosso è una minaccia per il commercio mondiale e per l'inflazione. Gli operatori sono ancora cauti: l'Iran è osservato speciale e molto dipenderà da un suo coinvolgimento diretto nel conflitto

“Attenzione al Mar Rosso e alle possibili conseguenze sull’inflazione”. L’avvertimento viene dal commissario europeo Paolo Gentiloni, il quale invita a monitorare attentamente le tensioni sul Mar Rosso che potrebbero palesarsi nelle prossime settimane sui prezzi. Finora, però, gli effetti sui prezzi del petrolio e gas sono stati contenuti e questo ha contribuito a mantenere una certa calma sui mercati finanziari che sembrano avere occhi solo per i tassi d’interesse e per questo attendono con ansia il discorso che terrà la presidente della Bce, Christine Lagarde, al forum di Davos. 

Da quando sono cominciati gli attacchi degli houthi alle navi occidentali che attraversano il Canale di Suez, costringendole a circumnavigare l’Africa, gli investitori sembrano addirittura ignorare il rischio di un rallentamento del commercio mondiale e di ritorno dell’inflazione, come mai? “E’ una questione di prospettiva – dice al Foglio Antonio Cesarano, responsabile delle strategie di investimento di Intermonte Sim –. Per adesso, gli operatori considerano le tensioni in medio oriente in modo diverso dall’invasione dell’Ucraina di due anni fa. Provo a semplificare: fin quando lo scontro non coinvolge quelle che potremmo definire le prime linee, Stati Uniti contro l’Iran o contro la Cina, ma si mantiene con le seconde linee, Stati Uniti verso gli houthi, allora le tensioni sui prezzi delle rotte commerciali possono solo far crescere il rischio di rallentamento-recessione delle economie occidentali, Europa in primis, inducendo le banche centrali a correre ai ripari con un allentamento tempestivo e corposo della politica monetaria”. Insomma, per ora i mercati vedono il lato positivo? “Esatto, ma se nelle tensioni belliche venissero coinvolti pesi massimi come l’Iran, a quel punto cambierebbe tutto anche perché vorrebbe dire il blocco o il rallentamento del transito anche dal Golfo Persico con conseguenze temibili per i prezzi dei beni energetici”. 

Qualche numero può aiutare a capire. Il Mar Rosso copre circa il 12 per cento del commercio globale ma sono i container merci ad avere maggiore incidenza, mentre il Golfo Persico copre circa il 20 per cento del petrolio globale, diretto principalmente verso Cina e India, e il 25 per cento del gas liquido globale. “Fino a quando l’Iran si manterrà ai margini del conflitto, limitandosi a un appoggio indiretto alle milizie houthi e alle altre componenti sciite dell’area, sui mercati sembra destinata a prevalere l’idea che tutto questo potrebbe addirittura favorire un taglio e non un aumento dei tassi”.

Il Mar Rosso, comunque, non rappresenta l’unico fronte caldo quanto a tensioni geopolitiche che possono avere un impatto sulla crescita economica globale. “La Cina – prosegue Cesarano – potrebbe orchestrare manovre militari meramente dimostrative e, in parte, anche implementare dazi o ostruire i canali di approvvigionamento di Taiwan via via che ci si avvicinerà alla cerimonia di insediamento del neopresidente, prevista per il prossimo 20 maggio. Le eventuali rappresaglie potrebbero riproporre temporaneamente una fase di scarsità relativa di chip, aumentandone i prezzi e, soprattutto, rallentando la filiera produttiva globale, vista l’importanza strategica di queste componenti”. 

Un film già visto dalle imprese italiane durante la pandemia. Con quali conseguenze questa volta? “Cominciamo col dire che dobbiamo abituarci a convivere con le tensioni geopolitiche – spiega Lucio Poma, capo economista di Nomisma –. Ormai non possiamo più considerare questi eventi come straordinari, il che implica un salto di mentalità anche da parte delle imprese. Leggo che alcuni produttori di auto sono in difficoltà, ma se avessero avuto maggiori scorte di magazzino avrebbero meglio fatto fronte all’incertezza”. Ci sono concreti rischi per l’inflazione in Europa? “Ovviamente, ce ne sono e a questo penserà la banca centrale, ma la questione che è rimasta aperta dopo gli choc recenti è la capacità dell’Unione europea di rendersi meno dipendente dall’importazione di alcune materie prime e semilavorati promuovendo politiche, come ha fatto con i microchip, che favoriscano la produzione in loco”. Un altro colpo alla globalizzazione? “Non ha senso tutte le volte mettere in discussione gli assetti produttivi mondiali, ci sono catene di approvvigionamento che sarebbe difficile modificare come quella dei principi attivi, che arrivano dall’India, e alimentano il settore farmaceutico. Direi, piuttosto, che è arrivato il momento per le imprese di cambiare politica delle scorte, il just in time non funziona più”.

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