Carlo Stagnaro, uno dei fondatori dell'Istituto - foto Ansa

2003-2023

L'economia rap dell'Istituto Bruno Leoni, che compie vent'anni

Stefano Cingolani

L'istituto diventa maggiorenne ma conserva ancora quella verve anticonformista di un tempo, quando si voleva costruire qualcosa che in Italia non c'era

Compie vent’anni, ha superato la maggiore età, ma l’Istituto Bruno Leoni conserva quella verve anticonformista e giovanile dei suoi fondatori: Alberto Mingardi aveva appena 22 anni, poco più grande Carlo Stagnaro, quanto a Carlo Lottieri l’anagrafe lo inchiodava ai suoi 40 anni, lo spirito ne mostrava molti di meno. Mingardi ricorda al Foglio gli esordi pionieristici, da start up del pensiero politico. Senza garage, ma con uffici di fortuna e il denaro per le spese in una scatola di sigarette affidata a Lottieri, studioso acuto, ma distratto. L’idea fin dall’inizio era fondare qualcosa che in Italia non esisteva ancora. Intanto i think tank liberali si sono sempre contati sulle dita di una mano (tra i pochi la Adam Smith Society), ma anche la Fondazione Luigi Einaudi, costituita da Luigi Malagodi nel 1962, veniva etichettata come il pensatoio del Partito liberale. Più in generale gli istituti (o le fondazioni tipo Italianieuropei) sorti negli anni sono segnati dal collateralismo politico. L’IBL è nettamente schierato: la libertà individuale contro il totalitarismo, il libero mercato contro qualsiasi forma di statolatria, la concorrenza contro i monopoli, le professioni contro gli ordini, l’innovazione contro la conservazione. Un chiaro ancoraggio a valori trasformati in proposte concrete non per un partito, ma per chi le voglia discutere apertamente e accoglierle, perché nessuno ama scrivere sulla sabbia dell’oblio. La figura di riferimento è Bruno Leoni, considerato “l’esponente italiano più coerente e originale del liberalismo classico per lungo tempo più apprezzato all’estero che in patria” e l’istituto lo ha riportato alla posizione che merita nel dibattito politico e intellettuale. 

Non è stato facile né scontato raggiungere  il traguardo dei vent’anni e per celebrarlo Mingardi e i suoi hanno fatto una scelta inusuale: il premio annuale è stato assegnato a un rapper. Sì, proprio così, il giovanilismo dei fondatori si è sbizzarrito. Si tratta di John Papola (accento sulla o) produttore e regista texano che ha trasformato in un cortometraggio rap niente meno che la singolar tenzone tra Friederich von Hayek e John Maynard Keynes. Inutile ricordare con chi si schiera l’IBL. Ma a questo punto dobbiamo tornare indietro nel tempo, alla conferenza organizzata a Parigi nel 1938 dal filosofo francese Louis Rougier e chiamata “Colloquio Walter Lippman” il grande giornalista americano che un anno prima aveva pubblicato “La giusta società”, un saggio che criticava il New Deal rooseveltiano. Anche Lippman faceva parte del club insieme, tra gli altri, a Raymond Aron, Hayek, Ludwig von Mises, Jacques Rueff, Alexander Rüstow che coniò il termine neoliberismo. Nel 1947 il progetto venne ripreso da Hayek e altri 35 intellettuali con la Mont Pèlerin society dal centro termale svizzero dove si riunirono. Si aggiunsero anche italiani (Luigi Einaudi, Bruno Leoni, Sergio Ricossa, Antonio Martino) e americani. Ora Mingardi è il segretario dell’associazione ed è tornato da Bretton Woods nel New Hampshire, dove s’è tenuto l’ultimo meeting, giusto in tempo per la cena.

Presidente dell’IBL oggi è Franco Debenedetti, subentrato a Nicola Rossi. Una delle prime uscite pubbliche, l’appello contro il protezionismo, torna di estrema attualità. Dopo vent’anni l’Italia non è diventata più liberale, quindi c’è ancor più bisogno di una diga e “i castori” dell’IBL sono al lavoro con l’indice delle privatizzazioni, l’orologio del debito pubblico, le pubblicazioni della piccola casa editrice Liberilibri, la collaborazione con l’editore Rubbettino e una miriade di eventi, tra i quali la Lectio Minghetti, il Seminario Mises, il premio annuale e la cena “all’americana”. Al modello statunitense si collega anche il finanziamento. I contributi di privati e società sono pubblici come il bilancio. I maggiori sostenitori sono una trentina con in media 25 mila euro ciascuno, c’è un catalogo per settori merceologici, per verificare se gli avversari delle corporazioni cadono anche loro nella trappola del lobbying. Nel 2022 è entrato circa un milione di euro. Lunedì è stata la cena numero 14, ce ne vorranno ancora molte per tenere alta la diga.

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