l'audizione

La Nadef fragile. Con questi numeri Giorgetti fatica a convincere i mercati

Luciano Capone

Crescita sostenuta, privatizzazioni e calo del deficit: nessuno dei tre pilastri che regge il bilancio è solido. Vuol dire che il debito pubblico crescerà anziché scendere. Le parole non bastano, serve un segnale del governo agli investitori

“A me non fa paura la Commissione europea, a me fanno paura le valutazioni dei mercati che comprano il debito pubblico”, aveva detto un mese fa Giancarlo Giorgetti. Ma nell’audizione sulla Nadef il ministro dell’Economia non ha fatto molto per rassicurare gli investitori sul percorso di finanza pubblica dell’Italia. Perché, soprattutto nelle risposte ai parlamentari, è emerso un quadro programmatico molto fragile. La costruzione eretta da Giorgetti – che mostra fino al 2026 un debito pubblico che scende leggermente dal 140,2% al 139,6% – poggia su tre pilastri: crescita sostenuta (1,2% nel 2024 e 1,4% nel 2025); progressiva riduzione del deficit sotto il 3%; piano di privatizzazioni da un punto di pil (21 miliardi). Basta che uno solo di questi tre pilastri ceda e l’edificio crolla. Ma ciò che è emerso dalla discussione in Parlamento, anche per le parole del ministro dell’Economia, è che nessuno di questi pilastri è solido.

 

Partiamo dalle stime di crescita. Nell’audizione che ha preceduto quella del ministro l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), sebbene abbia validato le previsioni di crescita del governo, ha evidenziato come queste si situino nella parte alta del panel dei previsori: mentre cioè tutti gli istituti nazionali e internazionali prevedono una crescita tra lo 0,4% e lo 0,9% del pil per il 2024 e tra lo 0,8% e l’1,2% per il 2025, il Mef stima una crescita all’1,2% nel 2024 e all’1,4% nel 2025. Inoltre, sempre in contemporanea all’audizione di Giorgetti, il Fondo monetario internazionale (Fmi) riunito a Marrakech ha annunciato un taglio delle previsioni di crescita per l’Italia allo 0,7% sia nel 2024 sia nel 2025 (rispetto allo 0,9% stimato a luglio). Le stime dell’Fmi, per giunta in linea con quelle della Commissione europea (+0,8%), sono mezzo punto di pil inferiori a quelle del governo: vuol dire che nel 2024 il debito pubblico tornerà ad aumentare, anziché scendere di appena un decimale come prevede la Nadef.

 

E sempre che il governo realizzi il piano di privatizzazioni, ovvero il secondo pilastro della Nadef. Giorgetti è stato molto vago, ha parlato di ottimizzazione e razionalizzazione delle partecipazioni e citato nello specifico solo la cessione Mps, che però vale circa 2 miliardi e cioè un decimo dell’intero piano. I precedenti non rendono molto credibile questo programma, visto che nell’ultimo decennio le dismissioni sono sempre state pari a zero. In questo senso, l’Upb ha presentato un interessante esercizio: cosa succede se il governo non realizza alcuna dismissione? In questo scenario, pur considerando una crescita del pil nominale più alta, alla fine dell’arco temporale il debito risulta più alto: al 140,1%, circa 0,5 punti al di sopra della traiettoria della Nadef.

 

Il terzo pilastro è la riduzione del deficit, e quindi il miglioramento del saldo primario, che dal 2025 dipende dalla fine del taglio del cuneo fiscale da 10 miliardi prorogato per il 2024. Ma che sia un impegno fasullo lo ha rivendicato esplicitamente Giorgetti: “Rimane un’ipoteca su qualsiasi legge di Bilancio – ha detto il ministro in audizione –. Chiunque verrà dopo di me sarà obbligato a pensare ai redditi bassi. Sono fiero di aver messo un’ipoteca a beneficio dei lavoratori”. È chiaro quindi che la Nadef, che Giorgetti continua a definire “prudente e realista”, non è altro che un maquillage a cui forse per ragioni politiche fingerà di credere la Commissione, ma che difficilmente verrà creduto dai mercati che hanno già iniziato a manifestare dubbi sui titoli di stato.

 

A proposito del debito pubblico che è al 140%, Giorgetti ha spiegato che la colpa è della crisi Lehman Brothers e del Covid, che hanno fatto salire il debito di 20 punti per due volte: “Togliete lo choc dei due fattori esogeni che non dipendono dalla politica italiana e avrete un profilo di debito diverso”, ha detto. Secondo la stessa logica, Giorgetti ha anche dichiarato che “senza l’eredità del Superbonus, il debito si ridurrebbe in automatico di un punto di pil l’anno, come chiede la Germania”.

 

Ma senza un aggiustamento fiscale, sarà difficile per Giorgetti convincere i mercati che teme così tanto dicendo che senza crisi del 2011, Covid e Superbonus il debito italiano sarebbe molto più sostenibile. Gli investitori internazionali probabilmente non conoscono il detto “se mia nonna avesse le ruote sarebbe una carriola”, ma intuiscono il concetto.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali