Editoriali

Deficit e regole fiscali. Senza riforma del Patto, l'Italia non potrebbe chiedere lo scudo della Bce

Redazione

Uno dei requisiti per accedere allo strumento della Banca centrale europea è il rispetto dei parametri di bilancio della Ue

Il peggioramento dei conti pubblici potrebbe impedire all’Italia di ricorrere allo scudo anti spread varato dalla Bce per proteggere la zona euro dal rischio di frammentazione. E questo perché tra le condizioni previste per accedere a questo strumento – che  si chiama Tpi (Transmission protection instrument) – c’è proprio il rispetto dei parametri di bilancio dell’Unione europea. La notizia è stata data da Reuters, dopo aver letto il report di Scope Ratings, la principale agenzia di rating europea, nata una ventina di anni fa per rappresentare una voce alternativa alle grandi agenzie americane. Secondo Scope, l’idoneità dei titoli di stato italiani nell’ambito del Tpi “è un fattore fondamentale per il suo rating, attualmente a BBB+, con outlook stabile”. In effetti, la nota di aggiornamento al Def prevede che il deficit scenda al 3 per cento del pil solo nel 2026 mentre non vede una riduzione del debito nel periodo 2023-2026. Si potrebbe osservare che i parametri di bilancio per accedere allo scudo sono quelli previsti dall’attuale Patto di stabilità, del quale, però, è in discussione la riforma. Non a caso, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, all’indomani dell’approvazione della Nadef aveva dichiarato di affidarsi alla comprensione dell’Europa (“Bruxelles capirà”).

Quello di Giorgetti era un appello all’Europa politica, ma le istituzioni finanziarie, che piaccia o no, seguono altri criteri e si basano su norme e principi in vigore. E’ evidente, quindi, che gli scenari di una richiesta di un altro anno di sospensione del Patto di stabilità sono tanto fantascientifici quanto pericolosi, dato che in queste condizioni l’Italia deve necessariamente raggiungere un accordo sulla riforma del Patto. Perché il giudizio delle agenzie di rating sull’affidabilità del paese – quello di Scope è previsto per il primo novembre, ma prima arriveranno S&P, Dbrs, Fitch e Moody’s – dipende  dalle regole fiscali che saranno in vigore. Il fatto che a suonare l’allarme sia un’agenzia  europea dovrebbe suscitare nel governo se non apprensione quantomeno attenzione.

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