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Giorgetti, la credibilità della Bce sull'inflazione e quella del Mef

Luciano Capone

Se il ministro non ritiene realistico il target del 2 per cento della Bce, vuol dire che non sono realistici neppure i conti della sua Nadef. Perché mettere in dubbio la credibilità della Bce vuol dire mettere in dubbio la credibilità del bilancio italiano

L’ha detto, alla fine di una lunga e interessante intervista a Sky, ma subito dopo ha precisato che forse avrebbe fatto meglio a non dirlo. Quasi come se dopo tanti richiami alla “prudenza” si fosse reso conto di aver commesso un’imprudenza. “Il target della Bce, questa regola aurea del 2 per cento  di inflazione, non so quanto sia oggi ancora realistico – ha dichiarato Giancarlo Giorgetti –. Però qua mi taccio se no dico cose che non si devono e non ci possiamo permettere di dire”.

Non si è inventato nulla né ha svelato un segreto. Le parole del ministro dell’Economia rappresentano una preoccupazione reale presente nei mercati finanziari sulla capacità delle banche centrali, e nello specifico della Bce, di riportare l’inflazione al 2 per cento. E però sono parole gravide di conseguenze negative soprattutto per l’Italia. Perché se Giorgetti non ritiene realistico il target del 2 per cento della Bce, vuol dire che non sono realistici neppure i conti della sua Nadef che si basa proprio sulle proiezioni di inflazione dell’Eurotower: ovvero un forte calo dell’inflazione al 2,5 per cento nel 2024 e un ritorno al 2 per cento nel 2025.  

Mettere in dubbio la credibilità della Bce vuol dire mettere in dubbio la credibilità del bilancio italiano. E’ un gioco un po’ pericoloso perché, su mercati che vivono di aspettative e già molto tesi per via dei deficit fiscali dei governi che gonfiano i debiti pubblici, alimentare certe preoccupazioni può diventare una sorta di profezia che si autoavvera. E a pagarne le conseguenze sarebbe soprattutto l’Italia. L’inflazione esercita effetti rilevanti sulla spesa sociale  principalmente attraverso l’indicizzazione delle pensioni, ma anche sulla spesa per interessi attraverso la rivalutazione dei titoli  indicizzati.  C’è però un altro canale, che è quello del costo del debito in generale: se gli investitori si convincono che l’inflazione è più persistente chiederanno per questo rischio un rendimento superiore, alzando ulteriormente il costo dei titoli di stato a lungo termine. Una fiammata inflattiva inaspettata può avere anche effetti positivi sul debito pubblico, ma un’inflazione persistente sarebbe devastante per un paese con un debito enorme come l’Italia e che già sta subendo un forte aumento della spesa per interessi.

Per giunta, se i timori del ministro Giorgetti divenissero più diffusi e radicati tra gli investitori, la banca centrale guidata da Christine Lagarde per ancorare le aspettative di inflazione al suo target si ritroverebbe costretta ad alzare ulteriormente i tassi. Dovrebbe cioè inasprire  una politica monetaria che il governo italiano ha mostrato, spesso in maniera plateale e chiassosa, di non apprezzare per le conseguenze negative sulla crescita economica.

In questa partita i governi non giocano un ruolo secondario o da spettatori. Perché buona parte dei dubbi sui mercati sulla possibilità di ritornare al target del 2 per cento dipende da  politiche di bilancio  molto espansive  che contrastano gli effetti della politica monetaria: è come se i governi si siano preoccupati di più di alleviare gli effetti anziché rendere efficace l’azione delle banche centrali. Servirebbe, al contrario, una maggiore coordinamento tra politica fiscale e politica monetaria: uno sforzo anche da parte dei governi per rendere più “realistico” l’obiettivo d’inflazione dell’Eurozona.  Soprattutto in un contesto in cui questo coordinamento tra politica monetaria e fiscale è molto flebile, sarebbe quantomeno utile evitare dichiarazioni che possono alimentare la sfiducia dei mercati nelle istituzioni. Per fortuna è stato Giorgetti a mettere in dubbio la credibilità del target della Bce, perché se fosse stata Christine Lagarde a mettere in dubbio la credibilità degli obiettivi di bilancio del Mef le conseguenze sarebbero state devastanti.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali