Crescita senza idee

Dalla Nadef al Pnrr. Il governo fa male a sottovalutare il ritorno dell'Italia nelle secche

Nicola Rossi

Per risalire la china è necessario che famiglie e imprese vengano pienamente coinvolte e responsabilizzate. Non basta varare norme o stanziare risorse. E’ il momento che il governo riscopra il ruolo della retorica politica e ne faccia buon uso

Oltre la Nadef c’è di più. Il Consiglio dell’Unione europea ha approvato le modifiche apportate dall’Italia agli obbiettivi previsti per la quarta rata del Pnrr. Modifiche proposte circa due mesi fa derivanti dalla constatazione che, nella sua precedente versione, il Piano era “parzialmente non realizzabile a causa di circostanze oggettive”.  Circostanze che a questo punto devono intendersi accertate. Si è aperta, di conseguenza, la possibilità per l’Italia di presentare la richiesta di pagamento della quarta rata per complessivi 16,5 miliardi di euro, che andrebbero a sommarsi ai 18,5 miliardi di euro della terza rata. Si è chiuso così un anno segnato da interventi tutt’altro che marginali relativi tanto alla governance del Piano quanto ai suoi contenuti.

 

Quanto fossero oggettive le circostanze alla base degli interventi citati lo ha confermato nei giorni scorsi proprio il Consiglio europeo. Ma lo suggerivano da tempo – e con inusuale candore – i documenti ufficiali elaborati nel corso dell’ultimo triennio dai diversi governi in carica. La figura riporta il profilo temporale dei tassi di crescita del prodotto imputabili al Pnrr così come desunti dai Documenti di economia e finanza (o, nel caso del 2020, dalla sua Nota di aggiornamento). Per intendersi, il Documento di economia e finanza varato nello scorso aprile valuta che il contributo del Pnrr alla crescita sia stato pressoché nullo nel biennio 2021 e 2022 e ipotizza che nel corso del quadriennio 2023-2026 possa attestarsi in media intorno allo 0,8 per cento per anno.

Ora tralasciando le valutazioni condotte nel 2020 (basate con ogni probabilità su informazioni incomplete), è abbastanza evidente che, di anno in anno, governi di diverso orientamento hanno ritenuto di dover rivedere i profili temporali della spesa talché, a partire dal 2021, il profilo temporale degli impatti annuali si è andato via via schiacciando verso lo zero negli anni iniziali (2021 e 2022) per recuperare nella fase finale del periodo di attuazione del Piano. Insomma, anno dopo anno, si è preso realisticamente atto delle difficoltà di attuazione del Piano rinviandone l’impatto sulla crescita agli anni successivi. Questo spostamento in avanti, anno dopo anno, della componente più significativa dell’impatto del Pnrr non è altro che l’espressione delle difficoltà iniziali di attuazione del Piano. Circostanze oggettive di cui l’attuale legislatura ha finalmente preso atto cercando di porvi riparo con le iniziative adottate nel corso degli ultimi mesi e, in particolare, con la revisione del Pnrr stesso. Al di fuori di ogni polemica politica, è sorprendente che lamenti oggi i ritardi nell’attuazione del Pnrr chi, negli anni passati, ne aveva certificato le difficoltà di attuazione senza peraltro trarne tutte le conseguenze e adottare per tempo tutte le necessarie contromisure.

 

E’ lecito attendersi che le valutazioni presenti nel Documento di economia e finanza 2024 possano, in questo senso, manifestare gli effetti positivi di quelle contromisure. Qui merita di essere segnalata una straordinaria peculiarità delle valutazioni riportate dalle fonti ufficiali. Solitamente in sede di valutazione degli impatti delle politiche pubbliche, regole elementari di prudenza suggeriscono di collocarsi al centro di una “forchetta” definita da due scenari estremi in senso positivo e negativo. Non è questo il caso del Pnrr. Le valutazioni ufficiali assumono, infatti, come ipotesi “base” lo scenario più ottimistico: quello di un processo di selezione, pianificazione e realizzazione degli investimenti pubblici altamente efficiente. Un auspicio forse doveroso ma – alla luce delle pluridecennali esperienze italiane – anche un tantino audace. Anche sotto questo profilo sarebbe opportuno che il Documento di economia e finanza 2024 riportasse il paese con i piedi per terra.

 

Il tasso di crescita che stiamo sperimentando nel 2023 incorpora – sia pure, come si può intuire, in misura minore di quanto non dicano le valutazioni ufficiali – i primi concreti impatti del Pnrr. Il che implica che – al netto della congiuntura europea e internazionale – l’Italia cresce come fa ormai da trent’anni. Dello zero virgola. Comprensibilmente, il tema dell’immigrazione riempie tutti i notiziari, ma la vera sfida che il governo e l’Italia hanno davanti è quella di sempre: il tasso di crescita potenziale del paese e l’evoluzione della produttività in un contesto segnato da un abnorme debito pubblico.

 

E qui è bene essere chiari (e ripetersi): il Pnrr è una grande opportunità ma non sarà sufficiente a tirarci fuori dalle secche (e a ripagare il debito su cui poggia) se non sarà accompagnato e sostenuto dalla volontà di famiglie e imprese di risalire una china ormai pluridecennale e dalla scelta dell’operatore pubblico di limitarsi a creare le condizioni perché ciò avvenga. Perché questo accada è necessario che famiglie e imprese vengano pienamente coinvolte e responsabilizzate e che, contestualmente, venga lasciata loro la piena libertà di agire. Perché questo accada non basta varare norme o stanziare risorse. E’ il momento che il governo riscopra il ruolo della retorica politica e ne faccia buon uso

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