Foto Epa, via Ansa

I Brics, la Nuova Banca di Sviluppo e il miraggio del tramonto del dominio del dollaro 

Mario Seminerio

L’aspirazione a sfuggire al predominio dela valuta statunitense è molto sentita in America Latina. I piani della presidente della Nuova Banca di Sviluppo, Dilma Rousseff, però potrebbero non realizzarsi mai

I cosiddetti Brics, il gruppo di cinque grandi paesi in via di sviluppo, tengono la loro adunanza annuale a Johannesburg, in Sudafrica, dal 22 al 24 agosto. Brasile, Russia, Cina, India e Sudafrica rappresentano oltre il 25 per cento del pil globale e oltre il 40 per cento della popolazione del pianeta. L’acronimo Brics fu inventato nel 2001 dall’economista britannico Jim O’Neill, allora in forza a Goldman Sachs, per segnalare la forza economica e geopolitica potenziale di un gruppo di paesi emergenti. In seguito, la consultazione economica tra i cinque fu istituzionalizzata. Una sorta di G7 emergente, fatto soprattutto di photo opportunity. L’ascesa della Cina al ruolo di grande potenza, l’evoluzione del confronto con gli Stati Uniti verso logiche di guerra fredda e l’invasione russa dell’Ucraina hanno ridato fiato alle spinte anti occidentali e anti americane. Nel frattempo, la Cina ha proseguito nel suo tentativo di creare istituzioni multilaterali parallele e alternative a quelle occidentali (Fmi e Banca mondiale su tutte), anche a supporto degli accordi bilaterali che vanno sotto il nome di Via della Seta. 

Il prodotto al momento più tangibile dei Brics è la Nuova Banca di Sviluppo (Ndb), fondata nel 2014 e operativa dal 2016, prestatore multilaterale con sede a Shanghai e presieduta da Dilma Rousseff, l’ex guerrigliera e protégé del presidente brasiliano Lula, a cui succedette alla guida del Brasile finendo deposta da una procedura di impeachment. La Ndb ha come azionisti i cinque paesi del nucleo storico Brics, a cui si sono aggiunti Egitto, Bangladesh ed Emirati Arabi Uniti. La candidatura dell’Uruguay è a uno stato avanzato mentre sono in corso le valutazioni di una quindicina di domande di ammissione. Ndb incarna lo spirito dei Brics: attaccare la supremazia occidentale e ridimensionare il peso del dollaro negli scambi internazionali. Programma molto ambizioso ma altrettanto difficile. La presidente Rousseff, in un’intervista al Financial Times, ha detto che Ndb quest’anno punta a erogare crediti per l’equivalente di 8-10 miliardi di dollari. Obiettivo prioritario è quello di aumentare la quota di prestiti in valuta locale, architrave della strategia che vorrebbe scalzare il primato del dollaro nelle transazioni globali finanziarie e commerciali. Se solo fosse così semplice.

Rousseff forse ignora che esiste da molto tempo un mercato di bond internazionali in valuta locale. Altro punto rilevante è dato dalle modalità di raccolta fondi di Ndb: ironicamente, i mercati del dollaro le sono pressoché preclusi, vista la presenza nel capitale della pluri sanzionata Russia. La banca rischia quindi di essere solo un altro cavallo di Troia della strategia cinese di internazionalizzazione del renminbi, che pure non è ancora pienamente convertibile. La motivazione ufficiale per emettere prestiti in valute emergenti è quella di sfuggire al rischio di cambio e di tasso d’interesse sul dollaro, ribadita dalla stessa Rousseff. Piuttosto singolare, visto che quel rischio è ineliminabile e i flussi di capitali si muovono più o meno liberamente per il mondo, determinando appunto tassi e cambio. Ancor più singolare è l’orgogliosa rivendicazione di Rousseff secondo cui Ndb presterebbe senza condizionalità alcuna, a differenza di Fmi e Banca mondiale. Una sorta di Nirvana finanziario privo di rischio, a cui i paesi accedono per realizzare i propri sogni, in comode rate agevolate. 

L’aspirazione a sfuggire al predominio del dollaro, che Washington usa anche come arma di politica estera attraverso il sistema delle sanzioni, pare molto sentita in America Latina. Il presidente brasiliano Lula ha dichiarato di non dormirci la notte, non spiegandosi questo dominio del biglietto verde. Lula è lo stesso che ha proposto una sorta di moneta unica con la disastrata Argentina, o in subordine una moneta “terza” per agevolare gli scambi, non è dato sapere come. A dirla tutta, in Sudamerica una moneta pesante opera già da tempo, si chiama (manco a farlo apposta) renminbi, visti gli investimenti cinesi nella regione, spesso a condizioni secretate e con contropartite assai poco di mercato. L’Argentina, per sfuggire alla dittatura del dollaro e risparmiare biglietti verdi per rimborsare il Fmi ha fatto crescente ricorso alle ormai celebri linee di swap in renminbi, che altro non sono che prestiti da Pechino. 

L’adunanza dei Brics e le ambizioni della Nuova Banca di Sviluppo sono quindi appese alla realtà e alla forte eterogeneità degli obiettivi economici e geopolitici dei partecipanti al blocco multinazionale. Pechino è cauta sulle domande di ammissione di paesi che fanno dell’antioccidentalismo e antiamericanismo compulsivo la propria insegna: preferirebbe la solita strategia avvolgente di crediti più o meno agevolati, con un’istituzione multilaterale che scimmiotta quelle occidentali del Washington Consensus, mutato in Beijing Consensus.  Ma il miraggio della morte del rischio di cambio e di tasso si scontra con i divergenti interessi economici e geopolitici dei partecipanti. Difficile, ad esempio, che l’India si metta a contrarre finanziamenti in renminbi. 

Avremo quindi solo l’ennesima photo opportunity? Non è detto: l’Arabia Saudita ha manifestato interesse al progetto. La potenza finanziaria del regno, spinta dai prezzi dell’energia, vuole trasformarsi in influenza geopolitica globale. Se ciò accadesse, la Cina rischierebbe di perdere il fondale scenografico che usa per la sua strategia egemonica globale. Ecco perché un gruppo di cinque ambiziosi paesi, ognuno con vistose ammaccature, potrebbe restare quello che è: un brand poco più che virtuale per catalizzare i sentimenti e le pulsioni anti occidentali in giro per il mondo.

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