Niente eco(nomia)-ansia

Perché non c'è ancora da preoccuparsi per il calo del Pil italiano

Giuseppe De Filippi

La crescita nel secondo trimestre va peggio del previsto (-0,3 per cento). Ma l’Eurozona riparte. E il treno c’è

Nel secondo trimestre del 2023 ha frenato l’Italia. Era attesa una variazione congiunturale pari a zero ma l’Istat ha misurato (in via preliminare) un calo dello 0,3 per cento ed è invece in variazione positiva il resto dell’Ue, con buoni risultati da Francia e Germania. Sul dato tendenziale, confrontando quindi l’andamento dei due secondi trimestri 2022 e 2023, l’economia italiana mostra comunque una crescita dello 0,6 per cento. Se in tutta evidenza si tratta di uno scivolone congiunturale è vero anche che bisogna porre attenzione alle ragioni di questa frenata per capire se e come verrà mantenuto un rialzo del pil italiano intorno all’1 per cento nel 2023. 

Niente eco-ansia (intesa come ansia economica), comunque, e non ci sono lacrime da versare. Il sistema produttivo italiano e la parte più dinamica  dei servizi avevano dato una prova sorprendentemente buona dalla fase post pandemica e continuano a sostenere l’economia.

La previsione di crescita congiunturale zero nel secondo trimestre indicava che il periodo sarebbe stato caratterizzato in ogni caso da un riposizionamento di produttori e consumatori e che non c’era molto da aspettarsi in più, dopo i risultati straordinari precedenti e perciò già acquisiti. I fattori di rallentamento previsti erano davvero da manuale, perché si attendeva ovviamente l’effetto dell’aumento dei tassi d’interesse sugli investimenti e sugli acquisti di beni durevoli e quello dei prezzi sui consumi interni. Che la classica stretta della Banca centrale non sarebbe stata una passeggiata era ampiamente previsto. E’ arrivato il conto e possiamo dire che nell’aggregato il sistema Italia ha tenuto. 

Qualche incoraggiamento arriva dalla doppia comunicazione di questi giorni. Con il probabile raggiungimento di una specie di plateau della crescita dei tassi di interesse e il segnale confortante che è arrivato oggi dell’ulteriore riduzione del tasso di inflazione, sceso al 6 per cento annuo nel dato preliminare di luglio. Dai fattori monetari, ampiamente prevedibili, si passa a quelli economici sapendo che la prevedibilità si riduce molto. L’Istat ci dice che si è affievolita la spinta dell’export proprio durante il secondo trimestre 2023. Per l’economia italiana, ancora debole sul fronte dei consumi interni, è chiaramente una condizione che impedisce le prospettive di buon rialzo del pil. Ma nulla può far pensare che si tratti di un assetto duraturo. L’andamento asimmetrico delle economie europee da questo punto di vista diventa un fatto confortante invece di offrire il destro a letture scioccamente competitive. 

Ben vengano i segnali di vita delle altre economie europee e particolarmente della Germania, senza il cui traino alla lunga andrebbe in difficoltà anche l’export italiano. Confindustria aveva già inquadrato in questi giorni le prospettive difficili del settore manifatturiero nel 2023 e le aspettative espresse dalla rilevazione sull’indice Pmi erano altrettanto inequivocabilmente interpretabili come anticipazione di un rallentamento del settore industriale. Nulla più di una frenata congiunturale, comunque, anche se da parte delle imprese si fa più forte la pressione sulla Bce perché finisca la stagione dei tassi in rialzo. Al di là di qualche piccola ambiguità da parte della presidente Christine Lagarde e di qualche componente del consiglio l’orientamento della Bce sembra ragionevolmente prevedibile. I mercati lo anticipano positivamente. Possono sbagliare, certo, ma, ripetiamo, il costante calo del tasso di inflazione fa ben sperare, sebbene l’inflazione di fondo continui a essere elevata. 

Sul recupero atteso dal settore dei servizi nel terzo trimestre c’è univocità di vedute, da economisti di tendenza ottimistica come Marco Fortis al molto prudente Centro studi confindustriale, dalle associazioni di settore alla Banca d’Italia. Tutti sanno anche che in buona parte dei servizi c’è da recuperare produttività ed efficienza e che questa parziale trasformazione dovrà tradursi anche in incrementi salariali e miglioramenti contrattuali. E’ uno scenario realistico e positivo per gli effetti sul pil, mentre la stagione turistica comunque eccezionale (malgrado i guai logistici nei trasporti e le difficoltà portate dal clima e dalla cattiva gestione del territorio) sta portando aumenti di attività ricettiva e di servizi anche a produttività ed efficienza invariate. La crescita del terzo trimestre dovrebbe giovarne, in attesa di un recupero del contributo manifatturiero. Per cogliere la crescita annuale stimata dalla commissione Ue e dal Fmi. Con gli effetti degli investimenti in capo al Pnrr prossimi a entrare visibilmente nei calcoli di contabilità nazionale e nelle rilevazioni sulla crescita. 

Certo, nulla va come auspicato dai sovranismi vari. L’economia cresce solo se integrata nei mercati internazionali, l’apertura dei servizi alla concorrenza può solo dare contributi positivi, la politica monetaria, ancorché non nazionale, sta funzionando nel controllo dell’inflazione, imprese e famiglie la soffrono ma non c’è alternativa. Tutto poco sovranista, appunto, ma questa è un’altra storia.

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