Foto Ansa 

Il caso

Una Confindustria tendenza Davigo per il rinnovo dei dirigenti

Chicco Testa

La complicata situazione delle imprese, per la nomina dei nuovi presidenti, è dovuta ad un modulo di candidatura estremamente rigido

Tempi di rinnovi di presidenti, in Confindustria, nelle decine di associazioni imprenditoriali che la compongono. Procedura molto democratica, chiunque si può candidare purché in regola con i pagamenti delle quote di iscrizione e quindi cercarsi i voti per l’elezione. Però. Capita sotto mano il modulo che il candidato di una associazione verticale deve compilare con un’autodichiarazione ed è inevitabile non dico strabuzzare gli occhi, ma almeno alzare il sopracciglio. Il tipo in questione deve infatti dichiarare innanzitutto di non avere precedenti penali iscritti al casellario giudiziario. Senza distinzione dei tipi di reato per cui è stato condannato, per quanto tempo e con quale gravità. Insomma condannato una volta condannato per sempre. La riabilitazione o l’avere pagato il proprio debito non sono previsti. Ma a questo si aggiunge una seconda condizione. Il candidato non deve avere “procedimenti penali pendenti in corso”. Quindi, alla faccia del fatto che la colpevolezza è comprovata solo al termine dei tre gradi di giudizio previsti del nostro ordinamento, basta un avviso di garanzia per metterti fuori combattimento. Davigo insomma ha fatto scuola e al posto della presunzione di innocenza abbiamo la presunzione di colpevolezza. Molti imprenditori sanno per averlo sperimentato sulla propria pelle che il rischio di un’apertura di procedimenti giudiziari, soprattutto in certe aree geografiche e in certi settori merceologici, è da mettere in conto come un rischio aziendale inevitabile in questo benedetto paese. Con le altrettanto inevitabili tempeste mediatiche che ne seguono. Ma o per fortuna o perché spesso il famoso giudice a Berlino fa bene il suo lavoro, in gran parte dei casi si risolvono nel nulla. Salvo i danni nel frattempo prodotti sulla reputazione e l’andamento delle aziende. 

Confindustria ha spesso protestato contro questa situazione che rappresenta per le imprese un rischio consistente. E la cronaca italiana è piena di casi di questo genere a cominciare dalla persecuzione inflitta a Eni per molti anni. La politica ha cominciato seppur timidamente a prendere le distanze dal considerare l’apertura di un procedimento giudiziario come una condanna infamante già dichiarata. Stupisce che non lo faccia Confindustria, che del garantismo per le sue imprese e gli imprenditori associati dovrebbe fare un punto di principio invalicabile.

Di più su questi argomenti: