Ansa

piccola posta

Leggere il testo della condanna a Davigo e sentire la mancanza di Manzoni

Adriano Sofri

Tra “disvelamenti” e “coltri d’opacità”, sono molti i passaggi nelle pagine del Tribunale di Brescia che richiamano la letteratura nazionale, da Dante a Pascoli. Leggere per credere

Per chi, come me, ritiene che Piercamillo Davigo si autocondanni per oltraggio all’intelligenza e alla morale ogni volta che giudica manda e avvinghia nei suoi esilaranti passaggi televisivi, il suo destino giudiziario è di interesse secondario. L’uomo è quello che è, ha vibrantemente annunciato il ricorso in appello nel momento in cui addebitava all’eccesso di ricorsi in appello i malanni dei tribunali italiani, e dopo essersi illustrato in una strenua e vana battaglia di ricorsi (anche al Tar!) per impedire che la pensione raggiunta per limiti di età gli togliesse il posto nel Csm, dove aveva oltretutto dei conti personali da regolare, che sono la materia su cui si è ora pronunciato il tribunale di Brescia.

Al quale vorrei dedicare qualche riga, messo sull’avviso da stralci delle (tempestive, una buona volta) motivazioni della provvisoria condanna di Davigo. A cominciare dal più citato, secondo cui Davigo aveva “smarrito la postura istituzionale”. Dell’inarginata esondazione della parola “postura”, tale da suggerire di passare sui due piedi ad altre letture, mi ero occupato a proposito del danno anch’esso autoinflitto dallo sfortunato deputato Soumahoro con la sua golosa “postura radicale”. Più esattamente, la motivazione bresciana dice che le precauzioni “adottate in occasione del disvelamento (sic, ma soccorre Dante: “Disvelato v’ho, donne…”) ai consiglieri – avvenuto nel cortile lasciando prudenzialmente i telefonini negli uffici – appaiono sintomatiche dello smarrimento di una postura istituzionale”. La conclusione era stata preparata da un altro appaiono: “Anche gli albori della vicenda ora all’esame appaiono avvolti da una coltre di opacità” (ancora Dante: “Vedi l’albor che per lo fummo raia...”. Idem: “Seggendo in piuma, in fama non si vien, né sotto coltre”. Pascoli: “Nell’infinita opacità del vuoto”). I verbali in formato Word sono usciti “con modalità quasi carbonare, dal perimetro investigativo del dr. Storari”. E tra Storari e Davigo si è “creato un cortocircuito sinergico reciprocamente fuorviante” (qui non si danno precedenti). In un limbo di incertezza sarebbe restata una circostanza: “Se quella del sostituto sia stata davvero un’iniziativa selfmade o non ci sia stato invece un qualche mentore ispiratore (diz. dei sinonimi), come pure farebbero pensare alcuni passaggi rimasti in ombra”. Il collegio inoltre attribuisce a Davigo una “incontinenza divulgativa”.

E “la prova di eventuali interferenze verificatesi all’interno della procura di Milano finirebbe per spalancare uno scenario significativamente diverso”. I giudici stigmatizzano tra l’altro “il vero e proprio sterminio di atti, corpi di reato, chat, mail, apparecchi telefonici, pen drive e indirizzi di posta elettronica che non ha consentito di tracciare appieno gli accadimenti”. Quanto al movente, Davigo avrebbe “utilizzato il tema dell’asserita appartenenza massonica per fare terra bruciata intorno al dr. Ardita”. Tuttavia per l’imputato non è emerso con sufficiente certezza che abbia strumentalmente ottenuto prima e divulgato poi i verbali di Amara “con animus nocendi”, cioè “animato da una cosciente volontà di propalare un’accusa che sapeva mendace in ragione di personalismi o di intenti ritorsivi”. D’altra parte, “Storari ha rappresentato all’imputato una situazione distonica rispetto a quella reale”. E Davigo, “da parte sua… ha cavalcato l’inquietudine interiore dell’interlocutore… La vicenda dimostra come, con il proprio incedere, l’imputato abbia allargato in maniera indebita la platea dei destinatari della rivelazione e che non si sia ‘acquietato’ nemmeno dopo aver raggiunto lo scopo asseritamente perseguito, ossia quello di instradare il procedimento ‘Ungheria’ nei binari della legalità”. In realtà era già avvenuta “l’elusione dei binari formali”. E le notizie di reato si erano mostrate “anemiche o, peggio, strumentali”.

“Le risultanze processuali dimostrano che l’imputato, lungi dal farsi promotore di una missione salvifica per la magistratura ... abbia piuttosto inteso polarizzare chirurgicamente l’attenzione su Ardita”. Disseminando “tossine denigratorie nella stretta cerchia di frequentazioni dell’ex amico...”.

Con tutto il rispetto (davvero): ci sono giorni in cui sento più forte la mancanza di Alessandro Manzoni.

Di più su questi argomenti: