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piccola posta

Soumahoro, le scuse, il razzismo. Ma per frenarlo sulla “radicalità posturale” ci vorrebbe un amico

Adriano Sofri

Lo sconcerto di fronte alla puntata di Formigli ("chiedi scusa?", ma non si istiga la gente a scusarsi). E poi quella formula minacciosa come un intervento ortopedico: Di Vittorio (chiamato incautamente in causa) non se la sognava nemmeno, naturalmente

C’è una dose di razzismo nello scandalo sollevato attorno ad Aboubakar Soumahoro? Certo. C’è quando si tratta di quelli che vengono a portarci via i lavori che noi italiani non vogliamo più fare, figurarsi con uno che è venuto a portarci via il lavoro di parlamentare, il posto più ambito da noi italiani. E meno male che non ci ha portato via una bellissima donna bianca, e si è innamorato di una bellissima donna ruandese. (“Tu i campi ci guasti / tu il pane c’involi / i nostri figlioli / per noi li vogliam. / Va’ fuora d’Italia / va’ fuora o stranier!”). Non conosco Soumahoro, ma ho guardato la puntata di Corrado Formigli, e sono stato sconcertato dalla domanda finale che Formigli gli ha rivolto, che non so citare letteralmente, ma aveva due corni: “Chiedi scusa?” e “La tua corsa si ferma qui?”. Formigli si è fatto prendere la mano, temo, tanto più che l’altro si era profuso in scuse, non si istiga la gente a scusarsi, nemmeno se si sia senza peccato. Ma è la seconda domanda a inquietarmi: voleva dire, immagino, che la vita pubblica di Soumahoro potesse finire là, e a questo ha risposto, intende continuare a fare il deputato. Però la questione aveva qualcosa di ergastolano, e riecheggia in tanti articoli e commenti. Hai finito, sei finito.

Ora, può darsi. E’ successo. A Gianfranco Fini, per esempio. Non conosco nemmeno lui, e non so se quando decise di dire, ammesso che l’abbia detto davvero, “Il fascismo è il male assoluto”, a Gerusalemme, fosse sincero e quanto. Era però almeno possibile che avesse capito e sentito che liberarsi dagli dèi bugiardi non era affare di aggiustamenti progressivi, ma di una rottura: non di una riconversione, ma di una conversione. Lui dal Parlamento, che aveva presieduto, andò fuori, rovinato dal cognato, proverbiale figura della commedia italiana. Al governo sono le sue e i suoi eredi, e continuano a riconvertirsi, piano, per non farsi male, un passo avanti e uno e mezzo indietro. Ora: Soumahoro ha una vita davanti. Prima della disgrazia che gli è caduta addosso, e forse se l’è tirata addosso, correva un rischio tremendo: di crescere come un pallone gonfiato, di aderire senza fessure a una retorica micidiale.

Non voglio essere indiscreto, ma ho dubitato che Soumahoro non abbia avuto dei veri amici. Un vero amico, una vera amica, è qualcuno che quando ti sente dire: “La mia è una storia di radicalità posturale”, ti avverte che stai deragliando. Evidentemente non gliel’ha detto nessuna, nessuno. Quando gliel’ho sentito dichiarare ancora in chiusura da Formigli sono andato a vedere da dove venisse quella formula minacciosa come un intervento ortopedico. Di Vittorio (chiamato incautamente in causa: “Di Vittorio aveva una radicalità posturale”) non se lo sognava nemmeno, naturalmente. Ho visto che la radicalità posturale era il suo ritornello fisso, e magari una chiave della sua riuscita. Soumahoro è giovane, dotato di una bella faccia e di una postura fisica fidata, ha parecchie vite davanti. Bonelli e Fratoianni avevano, hanno ancora, un’occasione, non era la più facile, ma certo la più promettente. Possono dirgli e dirsi che l’accidente contro cui ha sbattuto, e forse se l’è cercato, è una grande occasione per lui e per loro, che ormai sono legati, e a chi è legato capita di dover passare attraverso degli accidenti. Avrebbero rispettato e seguito quello che lui fosse capace di fare d’ora in poi, senza invadenza, senza compiacenza: tutt’al più chiedendogli di de-escalare il ricorso alla radicalità posturale.