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L'intervista

Pnrr e politica monetaria vanno in direzioni opposte? Parla l'economista Ferrero

Mariarosaria Marchesano

L’economista della University of Oxford spiega che l’Europa si trova di fronte a un paradosso. Il rischio inflazione legato al Pnrr emerge poco dal dibattito pubblico ma è concreto

Perché la Bce deve continuare ad aumentare i tassi provocando una recessione tecnica proprio ora che l’Italia sta crescendo più degli altri paesi in Europa? E’ la domanda che si pongono in molti in questo momento ritenendo che l’obiettivo della banca centrale europea di dominare l’inflazione non dovrebbe andare a scapito della crescita economica. Questo ragionamento, però, si scontra con qualsiasi evidenza della teoria macroeconomica, che dice esattamente il contrario, può piacere o meno. Come spiega al Foglio l’economista della University of Oxford, Andrea Ferrero, l’Europa, infatti, si trova di fronte a un paradosso: sta mettendo in campo il suo “piano Marshall” (il Pnrr) che potrebbe generare a sua volta nuova inflazione costringendo la politica monetaria a diventare ancora più restrittiva. Un circolo vizioso. “Così i tassi potrebbero restare alti più a lungo del previsto”, osserva Ferrero. Il rischio inflazione legato al Pnrr emerge poco dal dibattito pubblico ma è concreto. “E’ questione di tempistica – dice Ferrero - Il Pnrr è stato concepito nel 2020 per aiutare l’Europa ad uscire dalla pandemia, ma dopo, con la guerra in Ucraina e lo choc energetico, è cambiato tutto. I prezzi sono aumentati in modo incontrollato e per domarli è servita la stretta monetaria che, per essere efficace, non dovrebbe confrontarsi con una spesa fiscale ingente e prolungata nel tempo come quella prevista dal Piano europeo”. In parole povere, Christine Lagarde farebbe volentieri a meno del Pnrr, anche se per ovvie ragioni non lo può dire limitandosi a invitare gli stati membri e ritirare gli aiuti erogati a livello domestico per affrontare il caro energia. Secondo Ferrero, che in passato ha lavorato alla Federal Reserve e ha esperienza come consulente della Banca d’Inghilterra, gli Stati Uniti hanno già sperimentato questa contraddizione tant’è che lì l’inflazione ha cominciato a galoppare prima che in Europa in seguito all’ingente pacchetto di aiuti deciso dall’amministrazione Trump e confermato da quella di Joe Biden. “Solo che c’è una differenza: negli Stati Uniti lo stimolo fiscale, seppure massiccio, ha avuto una durata limitata e quando i prezzi hanno cominciato a correre, la Federal Reserve è intervenuta in modo tempestivo e l’inflazione è stata domata in buona parte in tempi ragionevoli. In Europa, invece, il piano di ripresa e resilienza, che ha una struttura molto più articolata, sta cominciando a dispiegare i suoi effetti proprio adesso che la Bce sta tentando di riportare l’inflazione sotto controllo”. Insomma, Pnrr e politica monetaria sono due forze che rischiano di andare in direzioni opposte e di annullarsi l’uno con l’altra? “E’ quello che può succedere”.

Il punto è che sempre una politica fiscale espansiva può generare inflazione e per questo, sostiene l’economista, andrebbe coordinata con la politica monetaria, cosa che in tutto il mondo non è avvenuta per il rapido sovrapporsi di choc pandemico e choc energetico. “Non conosco nei dettagli il Pnrr e il suo funzionamento, ma penso che abbia perduto il significato che aveva nel momento in cui è stato concepito, forse andrebbe rivisto sulla base del quadro congiunturale attuale anche se, ovviamente, questo non è semplice da fare. Penso, però, che di fronte a una stretta monetaria severa, la spesa fiscale dovrebbe essere più mirata ad aiutare le persone o i gruppi di persone penalizzate dall’aumento dei tassi che non a stimolare la crescita economica”. Ormai, però, i governi hanno ricevuto i fondi stanziati dal Recovery plan e devono spenderli. "Quello che può succedere è che la lotta all'inflazione della Bce può essere ostacolata o rallentata dagli effetti della spesa fiscale, che surriscalda l’economia mentre la stretta monetaria cerca di raffreddarla. “In questo modo, potrebbero essere necessari più rialzi dei tassi del previsto per contenere la tendenza all’aumento dei prezzi che non a caso è persistente nella sua componente core”. L’Europa non è l’unica area del mondo a vivere questa contraddizione (nel Regno Unito sta succedendo lo stesso tant’è che la Boe ha già portato i tassi al 5 per cento) ma la Bce rischia di rincorrere l’inflazione per tutta la durata del Pnrr e oltre. Non è così? “Se l’aumento dei tassi fosse cominciato prima si sarebbe potuto anche evitare, almeno in parte, il passaggio da un’inflazione da offerta a un’inflazione da profitti perché le imprese hanno avuto più tempo e margini per trasferire l’aumento dei prezzi a valle della catena”, conclude Ferrero.

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