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L'analisi

Il Pnrr si salva parlando meno di soldi e più di riforme 

Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro

Anziché continuare a recriminare è ora di spostare lo sguardo avanti su ciò che serve per cambiare il paese e al tempo stesso acquistare credibilità e credito a Bruxelles

Riuscirà l’Italia a spendere tutte le risorse del Pnrr? Il confronto tra il ministro Raffaele Fitto e la Commissione europea verte principalmente sulla concreta capacità del nostro paese di rispettare le scadenze (di cui molti dubitano, anche all’interno del governo, consapevoli dell’esperienza dei fondi strutturali) e sulla speranza di spostare i denari europei verso strumenti più flessibili o con scadenze più prolungate, quali i fondi di coesione sociale e la programmazione 2021-27. Intervenendo sul Corriere qualche giorno fa, Fitto ha rivendicato i cambiamenti nella gestione del Piano e il raccordo tempestivo ed efficace tra Roma e Bruxelles. Questa comprensibile enfasi sugli aspetti procedurali e operativi rischia però di lasciare in ombra l’aspetto politicamente più importante del Piano, cioè quello delle riforme. 

I piani nazionali di ripresa e resilienza, com’è noto, prevedono la realizzazione di riforme (complessivamente è prevista l’attuazione di 63 tipologie di riforme suddivise nelle sei missioni in cui il piano è articolato) e investimenti secondo un cronoprogramma definito. Essi sono strettamente interconnessi: entrambi sono necessari per ottenere i trasferimenti dall’Unione e le riforme (orizzontali, abilitanti e settoriali) sono pensate proprio nell’ottica di rendere le amministrazioni pubbliche più efficienti e, dunque, meglio in grado di eseguire investimenti pubblici o consentire quelli privati. Le difficoltà con gli investimenti del Pnrr dipendono in parte da ragioni oggettive (l’inflazione, la crisi energetica) e in parte da ragioni soggettive (la nostra atavica incapacità a spendere tempestivamente i fondi messi a disposizione dalle istituzioni europee). Limitare la discussione al funzionamento della macchina vuol dire porre tutta l’attenzione sul solo fronte degli investimenti: ma non è da questi che, in ultima analisi, dipenderà il successo del Pnrr né è a essi che, secondo le stesse analisi del ministero dell’Economia, viene affidato in via principale il compito di alzare il potenziale di crescita del Pil.

Le riforme servono, infatti, per rimuovere una volta per tutte gli ostacoli che finora hanno ingessato la nostra economia. E dipendono precipuamente dalla volontà politica del governo di realizzarle. Ovviamente talune comportano elevati costi politici perché toccano diritti quesiti e interessi delle categorie che hanno per decenni prosperato su questi ostacoli (basti pensare alle concessioni balneari). Più in generale, la concorrenza è sempre stata un terreno spinoso, tant’è che il disegno di legge governativo per l’anno in corso non affronta tematiche di ampio respiro. Altre riforme, però, a ben vedere non sono così controverse e non dovrebbe esserne così difficile l’implementazione. Altre ancora, per quanto divisive, sono nelle corde dell’attuale maggioranza: l’attuale intervento sulla giustizia predisposto dal ministro Carlo Nordio non fa certamente parte del Pnrr, ma – nella misura in cui può rendere più efficiente e garantista la macchina della giustizia – è coerente con la logica di fondo del piano, di creare cioè un paese più dinamico e attrattivo. Lo stesso si può dire per altri interventi. 

Nel semestre che si sta per chiudere erano previste riforme relative alla riduzione dei tempi di pagamento della pubblica amministrazione, provvedimenti  attuativi della riforma del pubblico impiego, l’adozione del codice dei contratti pubblici, l’adozione di tutti i regolamenti e delle norme di diritto derivato previsti dalla riforma del processo civile e penale, la semplificazione amministrativa e la riduzione degli ostacoli normativi alla diffusione dell’idrogeno, e misure relative alle persone anziane non autosufficienti. Nel prossimo semestre c’è un traguardo relativo alla digitalizzazione della giustizia, dovrebbe entrare in vigore la gestione strategica delle risorse umane nella P.a., sono previste riforme del quadro legislativo in materia di appalti pubblici e concessioni, riforme della spending review, misure relative alle riforme dell’istruzione primaria, secondaria e terziaria.

Il governo proprio perché sa di essere in difficoltà per quanto attiene alla realizzazione degli investimenti dovrebbe puntare maggiormente sulle riforme, sia quelle del Piano, sia le altre comunque ritenute utili e condivise da Bruxelles. Ciò oltretutto gli consentirebbe di accreditare sul piano interno una diversa narrazione. Anziché continuare a recriminare su quanto è stato fatto in precedenza e sulle difficoltà per realizzare gli impegni presi, sposterebbe lo sguardo avanti su ciò che serve per cambiare il paese. Al tempo stesso, potremo conquistare credibilità e credito a Bruxelles. Insomma, moneta corrente da spendere per ottenere i necessari cambiamenti nel Piano attuale. I tempi per concepire, far approvare e realizzare nuovi investimenti sono inevitabilmente lunghi e dipendono in parte dalle amministrazioni periferiche, mentre per le riforme il pallino rimarrebbe in mano al governo. Dopotutto, la maggioranza parlamentare è ampia (e tutto sommato coesa) per cui la loro realizzazione dipende in larga parte dall’abile gestione della macchina amministrativa in modo da ottenere tempestivamente la normativa secondaria necessaria. Inoltre, non è detto che su almeno alcuni dossier non si possa trovare un terreno comune con le opposizioni, o almeno alcune di esse. 

Per esempio, le raccomandazioni che la Commissione ha pubblicato poche settimane fa ci invitano, tra l’altro, a ridurre ulteriormente il carico fiscale sul lavoro, rendere il sistema fiscale più efficiente e meno complesso, allineare i valori catastali a quelli di mercato (terreno spinoso per l’attuale maggioranza), semplificare le procedure autorizzative in materia di energie rinnovabili, abolire sussidi suscettibili di pregiudicare la transizione verso una mobilità sostenibile. Davvero su nessuno di questi ambiti il governo se la sente di giocare una partita in attacco? E davvero su ciascuno di essi l’opposizione potrebbe giocare soltanto in difesa? In inglese dice where there is will there is a way. Se c’è una volontà riformatrice – o quanto meno se c’è la consapevolezza che le riforme sono lo strumento per ottenere non solo crescita ma anche risorse – è venuto il momento di dimostrarla.

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