La nave Golar Tundra nel porto di Piombino il 20 marzo 2023. ANSA/PAOLO BARLETTANI 

Bene gli stoccaggi pieni, ma per il gas è ora di soluzioni strutturali

Stefano Venier

La “crisi” dei mesi scorsi non è rientrata del tutto anche se possiamo guardare all'inverno con ottimismo. Adesso bisogna garantire la sicurezza energetica nel breve e medio periodo considerando i nuovi equilibri geopolitici e le esigenze della transizione green

Il livello di riempimento degli stoccaggi italiani di gas è arrivato a toccare quota 80 per cento lunedì scorso 19 giugno, due mesi prima rispetto agli anni passati. Un fatto che fino a poco tempo fa sarebbe passato inosservato ma che alla luce di quanto accade in Europa da un anno e mezzo a questa parte non solo è diventato degno di nota ma rientra persino nella categoria delle “buone notizie”. Si tratta di un anticipo che se da una parte ci consente di gestire l’arrivo della stagione fredda con un relativo ottimismo e senza allarmismi preventivi, dall’altra non ci deve però fare abbassare la guardia. Non solo sul prossimo inverno (che con il caldo di Scipione ci sembra tanto lontano ma per chi deve programmare è domani) ma anche sui successivi. E neppure sui piani per le infrastrutture di cui necessitiamo, anche in ottica di transizione verso le “molecole verdi”. Serve un primo segnale? E’ quello della volatilità dei prezzi del gas, che dai 150 euro al MWh di dicembre sono scesi fino ai 23 euro dell’inizio di giugno per poi risalire a 50 euro e ridiscendere ancora in questi giorni, con i prezzi per gennaio 2024 intorno ai 55 euro al MWh.

  
Insomma: la “crisi” dei mesi scorsi non è rientrata del tutto e diversi fattori che nell’inverno passato hanno giocato positivamente potrebbero non ripetersi. Nel 2022 l’Italia ha ricevuto gas di provenienza russa per circa 11 miliardi di metri cubi (erano 29 l’anno prima). Il clima più mite ha permesso di risparmiare circa 2 miliardi di metri cubi, più o meno la stessa quantità garantita dalle azioni di contenimento del governo. Un impatto notevole lo ha avuto lo switch verso il carbone per la generazione elettrica, con effetti collaterali sulle emissioni di CO2. Ma non c’è garanzia che gli eventi favorevoli si ripresentino. E’ vero che di qui in poi dovremmo poter contare sulla nave rigassificatrice di Piombino. Però per il secondo rigassificatore di Ravenna dovremo attendere l’autunno del 2024 e non dare per scontato un altro inverno mite. E poi c’è la Cina, che ritornerà sul mercato del Gnl, il gas naturale liquefatto. Lo scorso anno Pechino ha importato 23 miliardi di metri cubi in meno rispetto all’anno precedente, perdendo lo scettro di maggior importatore mondiale, ma lo scorso aprile e maggio ha registrato significativi segnali di ripresa.
  
Ciò che non ci si dovrebbe dimenticare è che la risposta alla crisi in questa prima fase è avvenuta principalmente attraverso contromisure “congiunturali”, orientate a scongiurare le emergenze, mentre ora il compito si fa più impegnativo e soprattutto indifferibile. E’ arrivato il momento di soluzioni infrastrutturali, capaci di garantire la sicurezza energetica nel breve e medio periodo e di tenere in considerazione i fatti nuovi imposti dai mutati equilibri geopolitici e le esigenze della transizione green.

  
E’ per tutti questi motivi che si sono resi necessari impianti come i rigassificatori di Piombino e di Ravenna, nonché l’accelerazione  nella realizzazione della Linea adriatica, che consentendoci di superare i colli di bottiglia del trasporto del gas da Sud verso Nord  ci permetterà di rendere strutturale una flessibilità che non potrà non avere effetti anche sui prezzi.

  

Ma il carattere strategico di un’opera come l’Adriatica, o come gli stoccaggi, non si ferma qui. Nella prospettiva della transizione energetica, e oltre a complementare il percorso delle rinnovabili, l’Adriatica consentirà di creare la nuova rotta dedicata all’idrogeno verde – il SoutH2 Corridor di cui hanno discusso di recente anche Meloni e Scholz – non appena la sua produzione arrivi a livelli quantitativi adeguati nel Sud del paese e, sperabilmente, nel Nord Africa. Nel medio-lungo periodo la visione di una società come Snam non può che essere questa: investire nella  composizione di infrastrutture competitive, capaci di trasportare “molecole verdi” dal biometano all’idrogeno, favorendo così il loro sviluppo. E la transizione energetica.

   

Stefano Venier è amministratore delegato di Snam

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