Lucio Poma (Ansa)

L'intervista

Non solo cuneo, le imprese possono fare di più per alzare i salari

Mariarosaria Marchesano

“Prima o poi si dovranno superare le resistenze perché offrire retribuzioni più alte sarà l’unico modo per contrastare la carenza di personale”, ci dice Lucio Poma, che da anni monitora le performance di oltre duemila aziende

“Le imprese italiane non stanno aumentando i salari, ma dovrebbero farlo perché il paese sta andando bene e ostacoli di tipo logistico ed energetico sono praticamente superati. Esiste, però, nelle filiere manufatturiere il timore che lo scenario internazionale si ribalti di nuovo, insomma c’è ancora incertezza. Ma prima o poi dovranno superare questa resistenza perché offrire retribuzioni più alte sarà l’unico modo per contrastare il fenomeno della carenza di personale”. Lucio Poma, capo economista di Nomisma e docente all’Università di Ferrara, è convinto che l’attuale contesto economico, in forte miglioramento, rappresenti una buona ragione per cui le imprese dovrebbero farsi carico di un miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori che vada oltre bonus e premi una tantum. Insomma, si sta parlando di rinforzare la busta paga, di alzare le Ral, retribuzioni annue lorde. “Aumentare i salari significa per un’impresa rinunciare a una parte dei propri profitti, cosa diversa dalla riduzione del cuneo fiscale che è carico dello stato e diversa dal concedere delle premialità sporadiche seppure consistenti”, aggiunge ricordando i problemi che il mondo produttivo ha dovuto affrontare con la pandemia e la guerra in Ucraina. “Adesso, però, le condizioni sono cambiate, le aziende che si contendono personale qualificato a vari livelli. Cosa vuole dire se non che il quadro economico è migliorato? Per contro, l’indice di fiducia delle imprese a maggio si è indebolito: è il segnale che nell’aria c’è ancora incertezza”.

 

Da alcuni anni, Poma ha fondato un osservatorio che monitora la performance di 2.000 aziende italiane che lui chiama “contro vento”, il meglio dell’apparato produttivo del paese. Da questa finestra si può constatare la crescita di ricavi e utili, mentre le retribuzioni dei dipendenti restano stabili o vengono migliorate quasi esclusivamente grazie a piani di welfare, aiuti e incentivi di vario genere, a volte anche consistenti, ma sui quali le famiglie non possono fondare nel tempo. Nel panorama nazionale, casi come quelli di Intesa Sanpaolo, che ha accettato la richiesta dei sindacati di un aumento in busta paga di 435 euro e, prima ancora, di Stellantis, che ha concesso a marzo 119 euro mensili ai quali si aggiungeranno 88 euro da gennaio 2024, sono stati possibili grazie al fatto che sia la banca guidata da Carlo Messina sia il gruppo presieduto da John Elkann hanno chiuso accordi con i sindacati in modo autonomo dalle rispettive associazioni di categoria. Molto rumore ha fatto la scelta di Messina di non negoziare la cifra richiesta dalle maestranze giustificandola con i ricchi utili che fa la banca. “Direi, però, che non si può fare un paragone con il mondo produttivo – osserva Poma – le imprese italiane sono più esposte agli choc esterni perché sono grandi esportatrici e temono di più il variare della congiuntura: durante il Covid tante attività erano ferme o chiudevano mentre le banche hanno sempre operato e visto addirittura un incremento del business”. E adesso beneficiano dell’aumento dei tassi d’interesse che, al contrario, sta penalizzando le imprese. Però è il principio quello che conta, come ha scritto Claudio Cerasa Messina ha rotto un tabù dimostrando, peraltro, che è possibile muoversi al di fuori di schemi prefissati.

 

In realtà, la strada della contrattazione aziendale ha preso piede in Italia proprio con i premi di risultato la cui detassazione, secondo un’indagine della Fim-Cisl, vale 653 euro annui nelle buste paga. A garantire il beneficio fiscale è stata la legge di bilancio per il 2023 di cui l’organizzazione sindacale ha studiato l’impatto sul settore metalmeccanico. Ebbene 867 aziende che occupano 388 mila addetti hanno sottoscritto accordi per garantire premi di risultato ai propri dipendenti (43 riguardano grandi gruppi) per un valore medio annuo di 2.171 euro, che arriva a 2.470 euro per quelle con più di 600 dipendenti e si riduce a 1.272 euro per le realtà che hanno meno di 100 addetti (con eccezioni come la Ferrari che ha elargito 11 mila euro ai dipendenti, compresi gli interinali). È stato poi grazie a una clausola di salvaguardia sul caro inflazione prevista dal contratto di categoria rinnovato due anni fa che da giugno i metalmeccanici vedranno 120 euro di aumento in busta paga. Ma se si sbloccano gli aumenti per tutte le categorie di lavoratori non esiste il rischio della spirale prezzi-salari? “Direi proprio di no, quello che rende persistente l’inflazione è la componente core, che sta seguendo altre dinamiche che sono legate alle dinamiche dei consumi e degli stili di vita. Ma questa è un’altra storia”, conclude Poma. 

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