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52 miliardi di spesa

L'ipocrisia del Catalogo dei Sussidi ambientalmente dannosi

Carlo Stagnaro

Il ministero dell'Ambiente ha pubblicato il nuovo aggiornamento sui Sad: sia maggioranza che opposizione sono a favore della cancellazione. Ma eliminarli vuol dire più tasse per i contribuenti

Il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica ha pubblicato la quinta edizione del Catalogo dei Sussidi ambientalmente dannosi (Sad) e dei Sussidi ambientalmente favorevoli (Saf). Il documento rendiconta circa 52 miliardi di euro di sussidi nel 2021: 22 miliardi ambientalmente dannosi (di cui 14 alle fonti fossili), 19 miliardi  favorevoli e 11 miliardi incerti. L’attenzione politica è tutta sui primi, perché la richiesta di cancellarli unisce maggioranza e opposizione. Il ministro Gilberto Pichetto Fratin, nella prefazione, annuncia: “Dalla prossima edizione saranno prioritariamente trattate e approfondite le proposte per la progressiva eliminazione dei Sussidi ambientalmente dannosi e per la promozione dei Sussidi ambientalmente favorevoli”. Il valore dei Sad appare in crescita rispetto ai 19 miliardi del 2020, ma è in linea con il 2019. Il calo del 2020 è infatti interamente riconducibile al Covid e ai lockdown. 

 

Ma cosa sono i Sad e come sono cambiati nel tempo? Il manuale usa una definizione che esso stesso definisce “molto ampia”: “Incentivi, agevolazioni, finanziamenti agevolati ed esenzioni da tributi direttamente finalizzati alla tutela dell’ambiente”. Mentre i Saf sono in gran parte agevolazioni a vantaggio dei produttori (per esempio incentivi alle fonti rinnovabili), i Sad sono perlopiù sgravi fiscali per i consumatori. In soldoni, quindi, eliminare i Sad significa alzare le tasse ad alcuni gruppi sociali (o a tutti). Magari la cosa ha un senso sotto il profilo della razionalità del disegno fiscale, ma politicamente si tratta di una decisione non facile. Tant’è che, finora, solo poche voci sono state cancellate, grazie all’ex ministro Roberto Cingolani: gli sconti sulle accise per i carburanti nel trasporto ferroviario, nella produzione di magnesio da acqua di mare e per le navi che fanno esclusivamente movimentazione all’interno dei porti, oltre ad alcuni fondi per la ricerca nell’ambito delle fonti fossili. In tutto, un’ottantina di milioni.

 

Sebbene i Sad siano 58 voci, gran parte del mancato gettito è riconducibile a un numero esiguo di misure: l’Iva agevolata per l’acquisto di case (5 miliardi), il diverso trattamento fiscale tra benzina e gasolio (3,4 miliardi), la riduzione dell’accisa e dell’Iva sui consumi di energia elettrica nelle abitazioni di residenza (2,4 miliardi), gli sconti sul gasolio per autotrasportatori e agricoltori (2,3 miliardi), il credito d’imposta per l’acquisto di beni strumentali nel Mezzogiorno (1,7 miliardi), l’esenzione dall’accisa sui carburanti utilizzati nella navigazione aerea e marittima (1,5 miliardi), l’assegnazione a titolo gratuito delle quote di emissione e gli sgravi sull’energia elettrica per le imprese energivore (3 miliardi), le agevolazioni per le auto aziendali (1,2 miliardi). Ci sarebbe molto da dire: in alcuni casi non è chiaro se davvero si possa parlare di sussidio, mentre altri non necessariamente sono ambientalmente dannosi (davvero sostenere l’elettrificazione delle case o l’industrializzazione del Sud fa male al pianeta?). Quel che è fuori discussione, però, è che la loro eliminazione – se non inserita in un ridisegno più ampio del sistema fiscale – si tradurrebbe in un peggioramento per molti, dall’aumento dell’Iva sulla compravendita di case all’incremento di 11 centesimi delle accise sul gasolio sino al rischio di delocalizzazione per gli stabilimenti industriali.

 

Una novità di questa quinta puntata del Catalogo è la ricognizione delle misure prese durante l’emergenza energetica. Esse non vengono sommate agli altri sussidi, perché si tratta di provvedimenti a termine (sebbene alcune siano ancora in vigore). L’impatto fiscale è notevole: tra il quarto trimestre 2021 e il secondo trimestre 2022 quasi 18 miliardi, a cui vanno aggiunte le spese sostenute nei mesi successivi. Purtroppo, il Manuale non ha il coraggio di chiamarle col loro nome: Sussidi ambientalmente dannosi. Usare un termine coerente con la metodologia adottata avrebbe forse reso più chiaro di cosa parliamo e pertanto avrebbe aiutato a mettere meglio a fuoco la natura e le conseguenze dell’eventuale eliminazione dei Sad. Come la bella di Torriglia, tutti la vogliono ma nessuno se la piglia (la responsabilità).

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