l'audizione

Bankitalia certifica il flop economico e ambientale del Superbonus

Luciano Capone

Metà degli investimenti sarebbero stati fatti anche senza agevolazione, il moltiplicatore macroeconomico è inferiore a 1 e "i benefici ambientali si ripagano in 40 anni”, dicono da Palazzo Koch. Con l'intervento di Eurostat e il decreto del governo si chiude un capitolo buio della finanza pubblica

Mentre infuria la polemica politica sulla fine dell’èra della cessione del credito e sui crediti fiscali incagliati, inizia a emergere con maggiore chiarezza l’impatto reale del Superbonus. Che è molto lontano da quello che la propaganda di Giuseppe Conte indica come propulsore dell’11% di crescita economica registrata nell’ultimo biennio. In audizione alla commissione Bilancio della Camera, la Banca d’Italia ha ribadito che la spesa aggiuntiva finanziata dal bonus al 110% è stata “meno della metà” del totale, mentre l’altra metà e più degli investimenti realizzati è una “spesa che le famiglie avrebbero effettuato anche in assenza di agevolazioni”. E pertanto Bankitalia stima un effetto moltiplicativo inferiore all’unità, ben lontano dai moltiplicatori fantasmagorici sbandierati da politica e associazioni di categoria.

 

Oltre all’impatto economico, è molto deludente anche quello ambientale. Secondo l’analisi costi-benefici fatta dalla Banca d’Italia confrontando il costo del bonus con il valore della riduzione delle emissioni di gas serra, “i benefici ambientali del Superbonus ripagherebbero i costi finanziari in circa 40 anni”. Vuol dire che impiegando le stesse risorse in altro modo la riduzione delle emissioni sarebbe stata maggiore, oppure che a parità di riduzione di emissioni si sarebbero risparmiati molti soldi. Se si considera l’uso alternativo delle risorse, il Superbonus si è mostrato inefficiente sia per l’impatto ambientale sia per quello sulla crescita del pil potenziale: “Tali agevolazioni hanno un costo rilevante che va valutato considerando il minore impatto di questa tipologia di investimenti sulla produttività e sulla crescita economica nel lungo periodo rispetto a possibili impieghi alternativi”, dice Bankitalia nelle sue conclusioni.

 

La sostanziale bocciatura da parte di Via Nazionale si aggiunge a quella dell’Ufficio parlamentare di Bilancio (Upb), che ha parlato di un impatto sulla crescita pari a 1 punto percentuale in due anni (su circa 11 punti di crescita complessiva). Queste valutazioni terze sono importanti per fare chiarezza su una pagina buia della storia della spesa pubblica italiana (circa 90 miliardi di euro spesi nel 2021-22 tra Superbonus e Bonus facciate). Ma restano ancora da risolvere problemi lasciati sul campo da questa norma, come la mole di circa 20 miliardi di crediti fiscali incagliati che rischiano di far fallire molte imprese e lasciare proprietari di casa con i lavori interrotti. Come affronta la questione il governo?

 

Nel decreto sulle “Misure urgenti in materia di cessione dei crediti”, che a febbraio ha spezzato il meccanismo che aveva alimentato la bolla del Superbonus, gli interventi sono pochi e marginali: una proroga per i tempi di conclusione dei lavori sulle villette; la possibilità di convertire in futuro in Btp i crediti non fruiti; la possibilità di spalmare in 10 anni (anziché 4) la detrazione, in modo da non far perdere parte del credito ai contribuenti con minore capienza fiscale. Si tratta naturalmente di modifiche che riguardano il pregresso, cioè tutto ciò che è accaduto prima del decreto di metà febbraio. Ma nessuna di queste misure è risolutiva. La soluzione di finanza creativa del governo è quella di promuovere un “veicolo finanziario” che, insieme a banche e società partecipate, sia in grado di assorbire e spalmare sul mercato i crediti bloccati. In questo modo si dovrebbero risolvere le criticità passate.

 

Per il futuro, invece, il sentiero è tracciato. I paletti del decreto sono infatti fissati dai nuovi parametri di Eurostat che definiscono come “pagabili” o meno i tax credit, a seconda della maggiore o minore probabilità che vengano integralmente utilizzati: di conseguenza vengono registrati totalmente nel disavanzo del primo anno di emissione o spalmati su più esercizi di bilancio. Si tratta solo di una questione contabile, che però ha un impatto notevole sui margini di politica economica del governo. La decisione per il 2023 è ancora pendente e verrà presa entro il 30 giugno.

 

Ma sul tema, in una lettera di fine febbraio all’Istat, Eurostat è stata molto chiara: il decreto “potrebbe modificare la natura del Superbonus” e i crediti d’imposta emessi successivamente “potrebbero essere considerati non-pagabili”, ma dovranno essere valutati la versione definitiva della legge approvata dal Parlamento e “altri possibili eventi che potrebbero avere un impatto sul Superbonus, come quelli attualmente dibattuti in Italia”. Insomma, il rischio della spinta parlamentare ad allentare le regole per il futuro è che la “pagabilità”, fatta uscire dalla porta, rientri dalla finestra. È per questo che il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha posto la fiducia sul decreto, che ieri è stato approvato alla Camera.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali